Il Concilio Vaticano II ripropone la centralità della Rivelazione e l’innovazione dello studio e dell’ascolto della Parola di Dio.
Già il proemio della costituzione dogmatica sulla divina rivelazione, Dei Verbum (d’ora in poi citato DV) fa presente la centralità della Parola di Dio nella vita dei cristiani e della della Chiesa: “Dei Verbum religiose audiens et fidenter proclamans, Sacrosancta Synodus verbis s. Joannis obsequitur dicentis…” (“In religioso ascolto della Parola di Dio e proclamandola con ferma fiducia, il sacro Concilio aderisce alle parole di s. Giovanni il quale dice…”).
Sempre nel proemio il Concilio parla a se stesso, svela se stesso e si pone come esempio per quel “popolo degli ascoltanti della Parola” che sono chiamati a essere i cristiani.
La centralità della Parola di Dio si manifesta nell’ascolto, che caratterizza l’ontologia del Concilio e dunque della Chiesa, un dato decisamente innovativo soprattutto in relazione al fatto che il concilio e la stagione che ha segnato la fine dell’esilio della Parola di Dio dal vissuto quotidiano della Chiesa cattolica.
Questo esilio ha avuto e ha tuttora gravide conseguenze per il modo di pensare e di vivere dei cristiani nella società civile, nel mondo occidentale, nel mondo globalizzato.
Dal contatto fecondo della persona e della comunità cristiana con la Parola di Dio, il singolo cristiano e la comunità scopre la forza vitale e giunge a “sentirla” come Parola rivolta a se stesso, come pane di vita per la propria esistenza quotidiana nel preciso contesto storico in cui egli è “chiamato” a vivere.
Come hanno scritto e predicato S. Agostino, S. Gregorio Magno e S. Girolamo, la Sacra Scrittura è una “lettera di Dio agli uomini” ed è stata donata per essere vissuta e obbedita: vivere la Parola diviene così per il credente un criterio interpretativo per comprendere la Scrittura, la quale si “disvela” in maniera differente quando più è abitata.
Difatti come afferma san Girolamo nel Prologo al commento del Profeta Isaia, citazione confermata dalla DV n. 25, “L’ignoranza delle Scritture, infatti, è ignoranza di Cristo” . Quindi solo “abitando” con frequenza la Parola di Dio, le energie vitali si sprigionano nel singolo e nella comunità cristiana così da cambiare il “cuore” e il modo di pensare e vivere dell’intero corpo ecclesiale in comunione con i doni dello Spirito e da renderlo capace di una testimonianza autentica e credibile nella compagnia degli uomini.
E’ proprio della Parola di Dio affidata alla testimonianza dei cristiani il compenetrare come fermento il mondo, anche nel suo pluralismo culturale e nella sua complessità tecno-nichilista, e offrire un contributo fondamentale al processo di umanizzazione e di sviluppo integrale dell’uomo e dell’uomo con il creato.
Certamente va in questo senso l’efficace immagine della Chiesa “esperta in umanità”, sottolineata da Paolo VI.
Una Chiesa capace di farsi “serva dell’umanità” e consapevole di come la Parola di Dio vada letta negli eventi con i quali Dio si manifesta nella storia.
Il Concilio ci ha ricordato che alla luce della Parola di Dio la Chiesa, senza isolarsi dalle vicende umane ma anzi facendosene carico e assumendosene la responsabilità, deve “cercare di discernere negli avvenimenti, nelle richieste e nelle aspirazioni, cui prende parte insieme con gli altri uomini del nostro tempo, quali siano i veri segni della presenza o del disegno di Dio” (Gaudium et spes, 11).
In altre parole non è possibile entrare in piena sintonia con la DSC se non attraverso una profonda familiarità con la Scrittura che consenta, da una parte, di riconoscere la luce della Parola di Dio rispetto alle situazioni cui vengono applicati, senza cadere in pericolosi semplicismi biblici, e, dall’altra, di cogliere nella Scrittura una perenne fonte di ispirazione, innovazione che aiuti a percepire il senso degli eventi e l’azione di Dio in essi.
(La seconda parte è stata pubblicata il 22 gennaio scorso)