Il jazz è vivo. Tantissimi giovani, negli ultimi anni, hanno imparato a conoscere la bellezza di queste genere musicale e le sue radici profondamente spirituali. Frequentano i mercatini dell’usato per cercare i vecchi dischi a 33 giri. Si innamorano dei maestri di oggi e riscoprono i fuoriclasse del secolo scorso.
Tra gli artisti più amati c’è il sassofonista John Coltrane. Morto nel 1967, è oggi al centro di un grande interesse da parte delle nuove generazioni, alla ricerca di emozioni vere e stanche di subire suoni con il sapore della plastica.
Nel 1964 registrò “A Love Supreme”, una vera e propria preghiera musicale rivolta al Cielo attraverso il suono del sassofono. Nelle note di copertina del disco, John Coltrane spiegò che questa sua opera voleva rappresentare un umile tentativo di ringraziare il Signore per i doni ricevuti.
Ciò che stava a cuore a Coltrane era l’enorme forza comunicativa delle religioni come strumenti di pace e di dialogo per l’umanità. Questo traspare, ad esempio, da una dichiarazione riportata sulle note di copertina dell’album “Expression”, in cui l’artista dichiarò di voler essere “una forza del bene”, per combattere quelle “forze del male che arrecano sofferenza agli altri e miseria al mondo”.
Una manifestazione evidente di questa missione è il brano “Alabama”, che Coltrane scrisse in seguito ad un drammatico fatto di cronaca. Il 15 settembre 1963, una domenica mattina, un attentato di matrice razzista colpì una chiesa battista di Birmingham, in Alabama, che ospitava la comunità riunita nel giorno del Signore. Un’esplosione causò quattordici feriti e tolse la vita a tre ragazze tra gli undici e i quattordici anni. Il sassofono di Coltrane sembrò piangere e pregare per il riposo eterno delle vittime, attraverso le note di questa struggente composizione.
Se dovessimo tradurre oggi il messaggio di John Coltrane, per i giovani del terzo millennio, potremmo sottolineare la sua costante ricerca di quelle virtù che sono scritte nel cuore di ogni essere umano, al di là di ogni confine culturale o religioso.
Del resto, quale “culla” potrebbe essere migliore della musica jazz per proporre certi messaggi? Non dimentichiamo che il jazz ha le sue radici negli “spiritual”, gli antichi canti che gli schiavi africani negli Stati Uniti rivolgevano a Dio. Erano inni pieni di speranza, che manifestavano la piena consapevolezza di essere liberi, nonostante la condizione di ingiustizia e di sofferenza.
Molto bella è anche la storia del pianista Michel Petrucciani, scomparso nel 1999 a soli trentasei anni. Colpito da una grave malattia che lo aveva segnato per sempre, era riuscito a trovare nell’arte un’occasione per “cercare nuove epifanie della bellezza e per farne dono al mondo”, anticipando con la sua testimonianza ciò che Giovanni Paolo II avrebbe scritto nella “Lettera agli artisti” del 4 aprile 1999.
Uno dei momenti più significativi della sua vita artistica è stato il Congresso Eucaristico nazionale del 1997, a Bologna, al quale furono invitati anche alcuni esponenti del mondo musicale. La presenza di Petrucciani, in quell’incontro con Papa Giovanni Paolo II, fu un esempio perfetto di comunicazione non verbale. Le sue note, quella sera, raggiunsero i giovani più di mille parole. Volevano dire: “Forza ragazzi! La vita è un dono meraviglioso”.
Michel Petrucciani dedicò al Papa il brano “Little piece in C for U”. Durante l’esecuzione, alzò lo sguardo verso il Cielo. Il Santo Padre volle porgergli un caloroso saluto, che si unì all’applauso di migliaia di giovani commossi.