Messaggio di Benedetto XVI al Meeting di Rimini

ROMA, domenica, 23 agosto 2009 (ZENIT.org).- In occasione della 30.ma edizione del Meeting per l’amicizia fra i popoli, che si è aperta questa domenica a Rimini sul tema: “La conoscenza è sempre un avvenimento”, il Cardinale Segretario di Stato Tarcisio Bertone ha inviato – a nome del Santo Padre Benedetto XVI – un Messaggio agli organizzatori ed ai partecipanti.

 

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A Sua Eccellenza Rev.ma

Mons. Francesco Lambiasi

Vescovo di Rimini

 

Eccellenza Reverendissima,

in occasione del Meeting per l’amicizia fra i popoli, che quest’anno celebra il suo trentennale, mi è particolarmente gradito trasmettere il saluto del Santo Padre a Lei, ed a quanti hanno promosso ed organizzato tale manifestazione culturale, che in tre decenni ha già visto la partecipazione di migliaia e migliaia di uomini e donne, soprattutto giovani, e l’intervento di centinaia di relatori sulle tribune allestite nelle aule della fiera di Rimini. Aiutati da studiosi di ogni disciplina, da artisti, da autorità religiose, da esponenti del mondo della politica, dell’economia, dello sport, ci si è potuto confrontare sulle questioni e sulle istanze fondamentali dell’umana esistenza, ed approfondire le ragioni dell’essere cristiani in questa nostra epoca. Sua Santità augurache il Meeting continui a raccogliere le sfide e gli interrogativi che i tempi di oggi pongono alla fede, e rispondere ad essi facendo tesoro dell’insegnamento del compianto Mons. Luigi Giussani, fondatore del movimento ecclesiale di Comunione e Liberazione.

    La tematica del Meeting 2009 verte sulla conoscenza che è sempre un avvenimento. “Avvenimento” è una parola con cui don Giussani ha tentato di riesprimere la natura stessa del cristianesimo, che per lui è un “incontro”, e cioè un dato esperienziale di conoscenza e di comunione. Proprio dall’accostamento tra le parole “avvenimento” e “incontro” è possibile percepire meglio il messaggio del Meeting. La riflessione gnoseologica ed epistemologica contemporanea ha portato alla luce il ruolo determinante del soggetto della conoscenza nell’atto stesso del conoscere. Contrariamente ai presupposti del “dogma” positivista della pura obiettività, il principio di indeterminazione di Heisenberg ha reso evidente come ciò sia vero perfino per le scienze naturali: anche in queste discipline, il cui “oggetto” sembra essere regolato da invariabili leggi di natura, la prospettiva dell’osservatore è un fattore che condiziona e determina il risultato dell’esperimento scientifico, e quindi della conoscenza scientifica come tale. La pura obiettività risulta perciò pura astrazione, espressione di una gnoseologia inadeguata e irrealistica.

    Ma se ciò è vero per le scienze naturali, lo è tanto più per quegli “oggetti” di conoscenza che a loro volta sono strutturalmente legati alla libertà degli uomini, alle loro scelte, alle loro diversità. Pensiamo alle scienze storiche, che si basano su testimonianze nelle quali convergono, come fattori influenzati del loro modo di comunicare la realtà che trasmettono, le visioni del mondo di chi le ha composte e le loro convinzioni, a loro volta legate a quelle del loro tempo, le loro situazioni personali, le scelte con cui essi si sono posti in rapporto alla realtà che descrivono, la loro levatura morale, le loro capacità e il loro ingegno, la loro cultura. Lo studioso che accosta il suo oggetto dovrà dunque sceverare tutto ciò, per comprendere e valutare il significato e la portata del messaggio veicolato in un contesto d’insieme, agendo come se si trovasse di fronte ad una persona che non conosce ancora bene, ma che gli sta raccontando qualcosa che ritiene comunque importante conoscere. La conseguenza più rilevante di tale situazione è che la conoscenza non può essere descritta come la registrazione di uno spettatore distaccato. Anzi, il coinvolgimento con l’oggetto conosciuto da parte del soggetto conoscente è conditio sine qua non della conoscenza stessa. E pertanto, non il distacco e l’assenza di coinvolgimento sono l’ideale da rincorrere, peraltro invano, nella ricerca di una conoscenza «obiettiva», bensì un coinvolgimento adeguato con l’oggetto, un coinvolgimento atto a far giungere a chi interroga la conoscenza il suo specifico messaggio.

Ecco perché la conoscenza può essere un “avvenimento”. Essa «avviene» come un vero e proprio «incontro» tra un soggetto e un oggetto. Che tale incontro sia necessario perchè si possa parlare di conoscenza ci fa allora guardare a soggetto e a oggetto non come a due grandezze che si possano reciprocamente mantenere ad asettica distanza al fine di preservarne la purezza; essi sono al contrario due realtà vive che si influenzano reciprocamente proprio quando vengono in contatto. L’onestà intellettuale di colui che conosce sta tutta in quella somma arte di “ospitare l’oggetto” in modo che esso possa rivelare se stesso quale veramente è, anche se non in modo integrale ed esaustivo. E l’accoglienza dell’oggetto, la disponibilità dell’ascolto che caratterizza il soggetto conoscente come vero amante della verità, si può descrivere come una sorta di «simpatia» per l’oggetto. C’è qui, come molto del pensiero medievale ci ha trasmesso, una particolare forza conoscitiva propria dell’amore. “Amare” significa “voler conoscere” e il desiderio e la ricerca della conoscenza sono una spinta interna dell’amore come tale. A ben vedere, dunque, ciò stabilisce un rapporto ineliminabile tra amore e verità. La conoscenza presuppone per sua natura una certa “conformazione” di soggetto e oggetto: un’intuizione fondamentale, già condensata nell’antico assioma empedocleo, secondo il quale “il simile conosce il simile”. L’evangelista Giovanni lo richiama implicitamente, laddove scrive che quando Dio “si sarà manifestato noi saremo simili a Lui, perché Lo vedremo così come Egli è” (1Gv 3,2).

    Ci si potrebbe domandare se esista conoscenza più necessaria all’uomo di quella del suo Creatore; se ci sia conoscenza più adeguatamente descritta dalla parola “incontro”, se non il fondamentale rapporto che esiste appunto tra lo spirito dell’uomo e lo Spirito di Dio. Si comprende allora perché i Padri della Chiesa abbiano insistito sul bisogno di purificare l’occhio dell’anima per giungere a vedere Dio, rifacendosi alla beatitudine evangelica: “Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio” (Mt 5,8). La razionalità dell’uomo può essere esercitata, e dunque raggiungere il suo fine proprio, che è la conoscenza della verità e di Dio, solo grazie a un cuore purificato e sinceramente amante del vero che ricerca. Purificato in tal modo, lo spirito umano può aprirsi alla rivelazione della verità. C’è dunque un misterioso nesso tra la beatitudine evangelica e le parole rivolte da Gesù a Nicodemo, riportate da san Giovanni: “Quel che è nato dalla carne è carne e quel che è nato dallo Spirito è Spirito…dovete rinascere dall’alto” (3,6-7).

    Il Santo Padre Benedetto XVI auspica che queste parole di Cristo risuonino nel cuore dei partecipanti alla 30° edizione del Meeting di Rimini, come richiamo a volgersi con fiducia verso di Lui, ad accoglierne la misteriosa presenza, che è per l’uomo e la società sorgente di verità e di amore. Con tali sentimenti, mentre formula voti di pieno successo a codesta manifestazione, imparte a Vostra Eccellenza, ai responsabili e a tutti coloro che sono presenti una speciale Benedizione Apostolica.

    Unisco volentieri i miei auguri, e mi valgo della circostanza per confermarmi con sensi di distinto ossequio

 

dell’Eccellenza Vostra Reverendissima

dev.mo nel Signore

 

Card. Tarcisio Bertone

Segretario di Stato

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ZENIT Staff

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