Il negazionismo prenatale, riflesso di una società che ha paura

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di Carlo Bellieni*

ROMA, domenica, 23 agosto 2009 (ZENIT.org).- Il soggettivismo oggi imperante in molti Paesi porta a non riconoscere certe evidenze, in forme sempre nuove di negazionismo (tra le ultime quelle segnalate da alcuni scienziati sulla negazione di un legame tra HIV e AIDS). Il negazionismo prenatale, molto diffuso in Occidente, afferma che prima della nascita non saremmo di fronte ad un essere umano.

Il negazionismo prenatale oggi è chiaramente smentito dalla scienza con argomentazioni ben chiare:

1. Il  concepito è vivo sin dalla fecondazione

2. Dal concepimento in poi non esistono “salti” qualitativi nel concepito, fino alla morte naturale

Questi due punti si basano su migliaia di articoli scientifici che da anni hanno ben spiegato lo sviluppo genetico umano, mostrando come dalla fecondazione inizi la vita di un nuovo essere umano. Questo è quanto spiegano i libri di embriologia su cui gli studenti di medicina e biologia studiano. Ed è quanto emerge dalla moderna ecografia fetale che mostra immagini meravigliosamente nitide dei movimenti, sorrisi, pianti, singhiozzi del feto, sia dello sviluppo delle tecniche di laboratorio che ci mostrano le risposte allo stress e al dolore del feto stesso.

Non voler accettare questo è negare una realtà su cui si basa tutta la medicina che prolifera di congressi dal titolo “Il feto come paziente” di cui l’ultimo si è svolto a marzo 2009 a Sydney, Australia (http://www.fetus2009.com/) , che ha libri e riviste e fondazioni (http://www.fetalmedicine.com/)  dedicati alla medicina prenatale.  La rivista Early Human Development ha come sottotitolo “Rivista internazionale sulla continuità della vita fetale e postnatale”, e il British Medical Journal edita una rivista pediatrica che ha una “Fetal and Neonatal Edition”.

Il negazionismo prenatale non è senza conseguenze:  significa non permettere alle donne incinte di attaccarsi psicologicamente al figlio, con vantaggio di entrambi; non permettere loro di elaborare il lutto se disgraziatamente il figlio morisse prima di nascere e non permettere che i bambini non ancora nati abbiano un medico che si occupa specificamente di loro, invece che a  prenderli in cura sia, in un paradosso della medicina moderna ultraspecialistica, lo stesso medico della mamma che se ne deve sobbarcare il fardello.

Non ci stupisce questo negazionismo: già prominenti filosofi icone della cultura laicista avevano ben poca stima della scienza e del suo valore: Nietszche scrisse per l’appunto “La gaia scienza” (1881) proprio per condannare sia la scienza che la fede le quali, basandosi su delle certezze, non gioverebbero ad una libera e “moderna” visione del mondo (“è pur sempre una fede metafisica quella su cui riposa la nostra fede nella scienza (…) niente più si rivela divino salvo I’errore, la cecità, la menzogna”). E J.J. Rousseau nel “Discorso sulle Scienze e le arti” (1750) concludeva che il progresso delle scienze ha apportato al mondo seri problemi più che benefici (“Se le nostre scienze sono vane nei fini, ancora più pericolose sono nei loro effetti.”). La cultura postmoderna in cui viviamo, figlia di Nietszche e Rousseau, non si cura più delle evidenze scientifiche, sottomette tutto alla soggettività (relativismo etico) che conta più del dato di scienza. Dunque non si interessa dei dati sulla vita prenatale, ma ragiona così: non mi fa comodo che il “feto” sia uno di noi, dunque, in barba all’evidenza, non lo è.

La prima conseguenza di questo è che le accuse di incompatibilità con la scienza rivolte alla Chiesa vengono automaticamente rispedite al mittente: è la società laicista che non cerca più la verità (perché pensa che una verità non esista) e si accontenta talvolta di un relativismo che della scienza vera non sa più che farsene. “La società moderna vive nella paura e non accetta più la realtà, perché non ha più la certezza che essa abbia un fondo buono. Per questo vuole dipingerla ognuno a modo suo secondo una estemporanea idea di perfezione che la renda innocua” (L. Giussani).  Il negazionismo prenatale è un chiaro esempio di questo.

La seconda conseguenza è l’aprirsi per chi lo vuole di un mondo di studio e ricerca, di dati e meravigliosi misteri sulla nostra vita “sommersa” nell’utero materno. Basta avventurarsi alla scoperta di quanto la scienza mette a disposizione. La nostra vita prenatale è come la vita degli oceani: per molti non esiste perché non interessa, o perché è pericoloso addentrarvici; ma per gli amanti delle escursioni subacquee è un mondo molto più vasto della vita sulle terre emerse, e ancor più pieno di mistero e bellezza.

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*Il dott. Carlo Bellieni è dirigente del Dipartimento di Terapia intensiva neonatale del Policlinico universitario “Le Scotte” di Siena e membro della Pontificia Accademia Pro Vita.

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ZENIT Staff

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