Omelia del Cardinal Bertone per l'ordinazione episcopale di mons. Ladaria e mons. Spreafico

CITTA’ DEL VATICANO, martedì, 29 luglio 2008 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il testo dell’omelia pronunciata dal Segretario di Stato vaticano, il Cardinale Tarcisio Bertone, questo sabato in occasione dell’ordinazione episcopale di mons. Luis F. Ladaria e mons. Ambrogio Spreafico.

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Signori Cardinali,

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venerati Fratelli nell’Episcopato e nel sacerdozio
cari Religiosi e Religiose,
cari fratelli e sorelle,
 

rivolgo a voi, qui presenti, il mio cordiale saluto, con un particolare pensiero per i parenti, i confratelli, i concittadini dei carissimi P. Luis Francisco Ladaria Ferrer, e mons. Ambrogio Spreafico, che oggi ho la gioia di introdurre nell’Ordine dell’Episcopato. A voi innanzitutto, cari Ordinandi, e a quanti si stringono a voi in questo momento solenne e familiare, sono lieto di assicurare la spirituale vicinanza del Santo Padre Benedetto XVI, che ci accompagna con uno speciale ed orante ricordo. Il rito che stiamo per compiere è certamente uno tra i più misteriosi e toccanti: si tratta infatti del conferimento della pienezza dell’Ordine, che rende questi presbiteri successori degli Apostoli di Cristo.

Ma che cosa comporta tutto ciò? Per capire il significato e il valore dell’Ordinazione episcopale dobbiamo richiamarci alla volontà di Nostro Signore Gesù Cristo, il Pastore eterno che ha effuso il suo Spirito sugli Apostoli e li ha inviati quali testimoni e ministri della sua salvezza. Consapevoli che la Chiesa ha una responsabilità universale, gli Apostoli, a loro volta, avvertirono il bisogno di trasmettere ad altri presbiteri, mediante l’imposizione delle mani, il medesimo Spirito perché mai venissero a mancare nella Chiesa pastori, sino alla consumazione dei secoli. Pastori come Cristo, che imitandolo nella santità della vita, fossero disposti a spendere generosamente la loro esistenza per la Chiesa, annunciando i misteri del regno dei cieli, dispensando i doni della salvezza, in maniera simile a un padrone di casa – dice il Vangelo che abbiamo letto – [un padre buono] che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche». 

Se evangelizzare è la missione di ogni cristiano, lo è ancor più per i pastori del Popolo di Dio. Questa è la missione del Vescovo di cui, in una recente catechesi del mercoledì, il Santo Padre si è soffermato a parlare. “Vescovo – ha egli detto – è forma italiana della parola greca “epìscopos“. Questa parola indica uno che ha una visione dall’alto, uno che guarda con il cuore”. Guardare dall’alto è un’immagine che ricorda le alture della Sacra Scrittura, del nutrimento dispensatore di vita della parola di Dio. Guardare con il cuore significa mirare il centro della persona umana; è con il cuore che l’uomo entra in relazione con tutto ciò che esiste.

Ripensando alla prima lettura proclamata poc’anzi e tratta dal primo libro dei Re, dove Salomone chiede e ottiene dal Signore “un cuore saggio e intelligente”, viene spontaneo riconoscere che ogni pastore, ogni Vescovo, ha bisogno di questa saggezza e di questa intelligenza per esercitare con profitto il proprio ministero. Essi sono infatti maestri, pastori e sacerdoti: è questa triplice missione che Cristo stesso ha esercitato e che continua ad esercitare per il suo popolo, mediante gli Apostoli e i loro successori. 

Munus regendi. Il Vescovo è pastore: fin dall’inizio è stata questa l’immagine con la quale si è voluto rappresentare il Signore Gesù, prima ancora di mostrarlo crocifisso. Il linguaggio dell’immagine, tanto rivalutato oggi, è quello che più facilita la trasmissione del messaggio. Gesù, il Pastore per eccellenza, guida e difende il suo gregge con saggezza e intelligenza, e le sue pecore lo seguono fedelmente – sottolinea l’evangelista Giovanni – perché ne conoscono la voce (cf.10,4). Quella del Buon Pastore è una raffigurazione cara al mondo agricolo di un tempo, che fa pensare alla premura, all’affetto con cui il vero pastore, a differenza del mercenario, si occupa del proprio gregge.

Munus docendi. Il Vescovo è Maestro, cioè colui che insegna. Spesso nel Vangelo Gesù lo vediamo proprio nel tipico atteggiamento di insegnare: utilizza le parabole, istruisce i discepoli su come pregare, mentre percorre città e villaggi insegna nelle sinagoghe predicando il Vangelo del Regno, come riferisce ancora san Matteo (cfr 9,35). Sostanza dell’insegnamento di ogni Vescovo è proclamare il Vangelo del Regno. Quel Regno dei cieli che, nella pagina evangelica, abbiamo sentito poco fa paragonato al seme, al granello, al lievito già presente nel mondo, ma ancora lontano dalla sua piena e definitiva realizzazione. Quel Regno di Dio, che il Santo Padre nell’Enciclica Spe salvi, afferma non essere “un al di là immaginario, posto in un futuro che non arriva mai, ma già presente là dove Gesù è amato e dove il suo amore ci raggiunge”. “Solo il suo amore – spiega il Santo Padre – ci dà la possibilità di perseverare con ogni sobrietà giorno per giorno, senza perdere lo slancio della speranza, in un mondo che, per sua natura, è imperfetto. E il suo amore, allo stesso tempo, è per noi la garanzia che esiste ciò che solo vagamente intuiamo e, tuttavia, nell’intimo aspettiamo: la vita che è ‘veramente’ vita” (n. 31). 

Compito del Vescovo, è pertanto ammaestrare come fece Gesù, annunziando l’avvento del suo Regno di giustizia e di pace; suo compito è proclamare la speranza evangelica. La prospettiva della speranza teologale, assieme a quella della fede e della carità, costituisce il fondamento del suo ministero pastorale. Sì, carissimi fratelli, il Vescovo è testimone di speranza perché la sua dottrina si fonda su Colui che è la speranza, il Signore risorto. Non c’è davvero bisogno che vi dica quanto sia necessario oggi che questo insegnamento raggiunga l’intelligenza e il cuore della gente in un mondo invaso da ideologie menzognere e abbagliato da false speranze. Anche recentemente il Santo Padre ha esortato i giovani a Sidney ad abbandonare tutto ciò che non conduce ad una genuina libertà, ma porta ad una confusione morale o intellettuale, ad un indebolimento dei principi, alla perdita dell’autostima e persino alla disperazione (cfr. Discorso al molo di Barangaroo di Sydney, 17 luglio 2008).

Ed infine l’altra grande funzione è il munus santificandi. Il Vescovo condivide lo stesso Sacerdozio di Cristo Sommo ed eterno Sacerdote. “I Vescovi, – insegna la Lumen gentium al n° 26 – con la preghiera e il lavoro per il popolo, in varie forme effondono abbondantemente la pienezza della santità di Cristo”. Nell’esercizio del proprio ministero, ispirato all’imitazione della carità del Buon Pastore, egli è invitato a santificarsi e a santificare. Lo scrittore francese Georges Bernanos scriveva che la santità è un’avventura, forse l’unica che ci sia. Chi l’ha capito dimostra di penetrare fin nel cuore della fede cattolica. 

Il Vescovo si consacra totalmente a Dio per essere totalmente consacrato al popolo di Dio. Se la santità è vocazione universale di ogni battezzato lo è, in special modo dei Vescovi conformati, con l’Ordinazione episcopale, a Cristo, il tutto Santo. Proprio questo ci ricorda san Paolo nella seconda lettura che è stata proclamata, essendo tutti con il battesimo “predestinati ad essere conformi all’immagine del Figlio suo, perché egli sia il primogenito tra molti fratelli”.

L’Ordinazione episcopale impegna ogni Vescovo a vivere nella fede, nella speranza e nella carità il proprio ministero di evangelizzatore e di guida nella comunità. Quella del Vescovo è dunque una spiritualità ecclesiale, perché tutto nella sua vita è orientato all’edificazione amorosa della Santa Chiesa. 

Cari P. Ladaria e Mons. Spreafico, questa è la missione che vi attende. Diversi sono i compiti pastorali a cui il Signore vi chiama, ma unico è lo stile con cui dovrete esercitarli. Tu, caro Padre Luis Francisco, entrato nella Compagnia di Gesù nel 1966, hai insegnato Teologia Dogmatica dapprima all’Università Pontifica Comillas di Madrid e poi nella Pontificia Un
iversità Gregoriana della quale sei stato vice-rettore dal 1986 al 1994. Hai inoltre offerto il tuo apprezzato contributo come membro e in seguito come Segretario della Commissione Teologica Internazionale. Ora il Sommo Pontefice, eleggendoti alla Sede titolare di Tibica con dignità di Arcivescovo, ti affida il delicato compito di Segretario della Congregazione per la Dottrina della Fede di cui sei Consultore dal 1993. Compito che svolgerai con quella competenza che tutti ti riconoscono e con quella fedeltà a Cristo, alla Chiesa e al Successore di Pietro che è tipica del Fondatore dell’istituto religioso a cui appartieni.

Tu, caro monsignor Ambrogio, sacerdote dal 12 aprile del 1975, hai insegnato presso il Pontificio Istituto Biblico e nella Pontificia Università Urbaniana della quale sei stato Rettore Magnifico a due riprese, nel 1997-2003 e dal 2005 ad oggi. All’insegnamento hai unito l’attività pastorale, svolta nella parrocchia romana di santa Maria in Trastevere, a fianco della dinamica Comunità di Sant’Egidio, con una chiara prospettiva missionaria, che ti è data anche dal fatto di essere Consultore della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli. Adesso Papa Benedetto XVI, nominandoti Vescovo Coadiutore di Frosinone – Veroli – Ferentino, ti chiede di coadiuvare il caro Mons. Salvatore Boccaccio nella cura di quell’amata comunità diocesana. Missione che non mancherai di svolgere con carità intellettuale, zelo spirituale e generosa dedizione pastorale. Vi accompagnino entrambi, cari Ordinandi, il nostro fraterno augurio e la nostra preghiera perché il Signore vi conceda, per l’intercessione di Maria, Regina degli Apostoli, di essere santi Pastori al servizio della Chiesa per il bene delle anime. Questo chiediamo insieme proseguendo la nostra celebrazione liturgica. Amen!

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ZENIT Staff

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