di padre John Flynn, L.C.
ROMA, 13 luglio 2008 (ZENIT.org).- La piccola comunità cristiana in Algeria ha attraversato un periodo difficile negli ultimi mesi. Due persone convertite al cristianesimo sono state recentemente condannate, con sospensione della pena, per aver promosso la propria fede, secondo l’Associated Press del 2 luglio.
Rachid Mohammed Seghir e Jammal Dahmani sono stati condannati per aver “distribuito documenti al fine di indebolire la fede dei musulmani”, ha riferito il loro avvocato Khelloudja Khalfoun.
I condannati sono protestanti evangelici, messi sotto processo dopo che, nel 2007, furono trovati brani della Bibbia e altri libri cristiani in un’automobile.
Secondo i dati pubblicati dal Governo USA, il 99% degli algerini è musulmano.
Il mese prima, il 3 giugno, dopo la condanna di quattro cristiani algerini, la Reuters ha riferito che l’Alto Consiglio islamico, ente di nomina governativa che disciplina la pratica religiosa, aveva accusato gli evangelici di aver tentato di dividere gli Algerini e di ottenere conversioni attraverso un proselitismo segreto.
L’articolo afferma che, in base a una legge del 2006 che limita il culto religioso agli edifici ufficialmente autorizzati, più di una dozzina di chiese è stata chiusa negli ultimi sei mesi.
Il 28 maggio Compass Direct News, un’agenzia di stampa specializzata nelle persecuzioni dei cristiani, ha riferito del caso di una donna cristiana di nome Habiba Kouider, arrestata nella sua città di residenza, Tiaret, il 29 marzo.
La polizia l’ha sorpresa con alcune Bibbie e altri libri cristiani nella borsa e l’ha portata davanti al Tribunale. Secondo Compass Direct News, il pubblico ministero le avrebbe offerto l’archiviazione del caso in cambio della sua conversione all’islam.
Nella prima udienza, Kouider è stata accusata di avere con sé quei materiali con l’intento di “scuotere la fede” di un musulmano, un’offesa punibile con la reclusione fino a 5 anni.
La chiusura delle chiese
L’articolo ha riferito inoltre di una vera ondata di processi contro i cristiani e di chiusura degli edifici di culto, a cui si è aggiunta una campagna sulla stampa locale per mettere in guardia la gente dalla minaccia contro l’unità del Paese proveniente dai cristiani evangelici.
Compass Direct ha pubblicato, il 27 maggio, un servizio di approfondimento sulla situazione in Algeria. La chiusura di molte chiese protestanti nei mesi precedenti era dovuta alla decisione delle autorità di dare applicazione a una legge del febbraio 2006 che finora era rimasta lettera morta.
La maggior parte delle chiusure delle chiese si è verificata nella regione orientale di Kabylie, una zona montagnosa dominata dalla minoranza etnica berbera.
“Questo è il periodo di maggiore oppressione a danno dei cristiani in Algeria”, ha affermato Farid Bouchama, un televangelista algerino che vive in Francia. “Prima si trattava di emarginazione dalle famiglie o dal lavoro, ma ora ci troviamo di fronte alla prima oppressione organizzata da parte dello Stato”.
L’applicazione della legge ha investito anche alcuni cattolici, secondo Compass Direct. Lo scorso dicembre un sacerdote cattolico è stato arrestato per aver pregato con alcuni migranti del Camerun ai confini dell’Algeria. Si tratta di una pratica seguita normalmente dai sacerdoti cattolici ormai da un decennio, secondo l’articolo. Il caso è all’attenzione della Corte suprema algerina.
Divieti ai cattolici
Inoltre, per la prima volta in 30 anni, è stato vietato ai sacerdoti cattolici di celebrare il Natale e la Pasqua con gli italiani che lavorano nell’industria petrolifera in Algeria.
I sacerdoti devono ora chiedere l’autorizzazione governativa per svolgere attività pastorali precedentemente normali, come quella di visitare i prigionieri in carcere.
I problemi dei cattolici sono stati evidenziati in un articolo pubblicato il 27 febbraio dal quotidiano spagnolo El País. Il giornale ha riferito che due mesi prima, l’Arcivescovo emerito Henri Teissier di Algeri ha organizzato insieme al Nunzio Apostolico un incontro con 15 ambasciatori presenti in Algeria.
Durante l’incontro, l’esponente cattolico ha presentato agli ambasciatori un lungo elenco di atti di persecuzione subiti dai cristiani sin dal 2006.
Tra gli episodi evidenziati, figura il tentativo del 2007 delle autorità di costringere tutti i preti e le suore stranieri a lasciare l’Algeria, apparentemente per la loro sicurezza di fronte alla minaccia degli estremisti islamici.
Secondo El País, in Algeria vivono circa 110 tra frati e sacerdoti e 175 suore. Il quotidiano ha riferito che l’Arcivescovo Teissier, dopo aver protestato contro l’azione del Governo, è riuscito ad ottenere una modifica nel decreto che rischiava di espellere il clero e i religiosi.
Le difficoltà dei copti
Anche in Egitto i cristiani sono minacciati, secondo un articolo pubblicato il 7 luglio dal Washington Post. Le pressioni provenienti dall’Islam e gli episodi di violenza stanno costringendo la minoranza cristiana dei copti a cercare protezione.
I copti, stimati in 6/8 milioni, che vivono insieme agli oltre 70 milioni di musulmani in Egitto, hanno subito ripetuti attacchi negli ultimi mesi.
Negli ultimi decenni, ha osservato il Washington Post, i musulmani e i cristiani hanno vissuto insieme in un’atmosfera di tolleranza religiosa, integrandosi tra loro pacificamente.
Negli ultimi anni, la diffusione delle frange più intolleranti dell’islam ha reso la vita dei cristiani sempre più difficile.
L’articolo ha osservato inoltre che molti copti sostengono che la politica del Governo li considera cittadini di serie B. Per poter costruire una chiesa, per esempio, devono ottenere l’autorizzazione presidenziale.
Il quotidiano cattolico italiano Avvenire del 19 giugno ha riferito del rapimento della diciassettenne Maria Gerges Labib mentre usciva da scuola nella località di Abu Al Matamer. La comunità copta sospetta che sia stata rapita con lo scopo di convertirla all’islam.
Ad aggravare il dolore di questa vicenda si aggiunge l’arresto di 17 copti che stavano manifestando in protesta di quel rapimento davanti al commissariato di polizia del luogo. La pacifica dimostrazione protestava contro la mancata reazione della polizia al rapimento.
L’articolo di Avvenire ha citato anche un recente attacco incendiario perpetrato contro il monastero copto di Abu Fana, assalito da una folla di musulmani in protesta contro ciò che sarebbe un’illegale costruzione di un muro attorno il monastero.
Qualche sviluppo positivo vi è stato in Egitto, secondo quanto riferito da Paul Marshall, senior fellow del Center for Religious Freedom presso l’Hudson Institute, in un articolo pubblicato sull’edizione del 3 marzo della rivista Weekly Standard.
Le conversioni
Marshall ha spiegato che alcune recenti sentenze del Tribunale amministrativo egiziano hanno dato ragione alle minoranze religiose. In una di queste sentenze, quella del 9 febbraio, 12 cristiani che erano stati convertiti all’islam hanno ottenuto di potersi riconvertire e di poter far apparire la loro nuova appartenenza religiosa nei propri documenti.
Si è trattato tuttavia di una vittoria parziale, ha aggiunto Marshall. La Corte ha anche deciso che sui loro documenti vi dovrà essere la dicitura “ex musulmano”. “Questo li marchia come apostati e li espone alla persecuzione e alle aggressioni”, ha affermato Marshall.
Marshall ha anche citato un’altra decisione della Corte: quella che ha impedito a Mohammed Hegazy, nato musulmano, di veder riconosciuta la sua conversione al cristianesimo. La motivazione addotta dal tribunale è che “le religioni monoteistiche sono state volute da Dio in un ordine cronologico” e che pertanto non ci si può convertire “a una religio
ne più vecchia”.
La questione della conversione è un problema che investe numerosi Paesi musulmani. In Somalia, Daud Hassan Ali è stato assassinato perché si era convertito dall’islam al cristianesimo, secondo la BBC del 15 aprile.
La moglie, Margaret Ali, ha denunciato la sua uccisione dopo che il corpo del marito era stato ritrovato esanime nella scuola che la sua organizzazione caritativa aveva costruito a Beledweyne.
Anche Rehana Ahmed, di Birmingham, e due insegnanti del Kenya sono stati uccisi. Ali aveva lasciato la Somalia nel 1967 ed era diventato cristiano dopo aver incontrato dei missionari. Stabilitosi in Gran Bretagna, era poi tornato in Somalia dopo essere andato in pensione, per poter costruire una scuola e aiutare così molti bambini del Paese ad istruirsi.
La Hakab Private English School era stata completata solo un mese prima dell’aggressione. Fatti che confermano che il sangue dei martiri continua ancora oggi a scorrere in molti Paesi.