Il Cardinal Rodé spiega il ruolo dell'autorità delle superiore come servizio alla Chiesa

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Obbedire come Gesù per far rinascere la vita consacrata

di Antonio Gaspari 

ROMA, giovedì, 24 luglio 2008 (ZENIT.org).- Sono state 161 le suore provenienti da Italia, Spagna, Francia, Repubblica Dominicana, Perù, Inghilterra e Stati Uniti che hanno partecipato al Corso Estivo “Incontro internazionale di superiore di comunità”, organizzato dal 14 al 22 luglio dall’Istituto Superiore di Scienze Religiose dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum (APRA) di Roma.

Il corso, promosso con lo scopo di offrire un aiuto teologico, pastorale e spirituale per la formazione di comunità religiose sane, equilibrate, amanti del proprio carisma istituzionale e al servizio delle necessità della Chiesa, è stato patrocinato dalla Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, dall’Usmi – Unione Superiore Maggiori d’Italia – della Regione Umbria, dall’Usmi della Diocesi di Napoli, dall’Usmi della Diocesi di Bologna, dal DAR – Departamento de Atención a Religiosas – del Messico e dalle Superiore Generali della Polonia. 

Fra gli argomenti trattati, la vita fraterna in comunità; la missione e il vero senso dell’apostolato; la formazione della persona consacrata; dialogo e comunicazione nella vita religiosa e il recente documento “Il servizio dell’autorità e l’obbedienza”, che è stato presentato dal teologo Padre Pier Giordano Cabra, F.N.

Al corso è intervenuto anche il Cardinale Franc Rodé, C.M., Prefetto della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica, che ha spiegato come un’errata comprensione dei concetti di libertà, obbedienza, fedeltà, autorità e spiritualità abbia indebolito il carisma della vita consacrata. 

Il Cardinal Rodé ha sottolineato il ruolo dell’autorità come servizio, spiegando che “nella Sacra Scrittura è chiamato significativamente ‘diaconia’, cioè ‘ministero”.

Il Prefetto ha ricordato che secondo San Paolo l’autorità nella Chiesa ha come oggetto l’edificazione del Popolo di Dio, e che “è in Gesù che troviamo il modello, il paradigma, l’esempio per capire, esercitare e vivere l’autorità e l’obbedienza. Si tratta di autorità e di obbedienza centrata nella ricerca della volontà di Dio, anche se tutti siamo consapevoli del fatto che l’esercizio dell’autorità comporta una serie di sfide che dobbiamo affrontare”. 

Parlando di queste sfide, il porporato ha rilevato che la cultura moderna sembra avversa alla testimonianza dei consigli evangelici di “castità, povertà e obbedienza”, anche se la scelta di questi, “lungi dal costituire un impoverimento di valori autenticamente umani, si propone piuttosto come una loro trasfigurazione”.

Parlando del rapporto tra autorità e obbedienza, il Cardinale ha osservato che “in passato il rischio poteva venire da un’autorità orientata prevalentemente verso la gestione delle opere, con il pericolo di trascurare le persone; oggi, invece, il rischio può venire dal timore eccessivo di urtare le suscettibilità personali, o dalla frammentazione delle competenze e responsabilità che indeboliscono la convergenza verso l’obiettivo comune e vanificano lo stesso ruolo dell’autorità”. 

Il Prefetto del dicastero vaticano ha quindi messo in guardia contro la secolarizzazione che “minaccia di rendere irrilevante la fede”

“Dobbiamo renderci conto che stiamo assistendo a una marcia indietro della dimensione religiosa, perché le legislazioni degli Stati si allontanano sempre più dai principi cristiani”, ha osservato. 

Il porporato si è detto molto preoccupato dalla secolarizzazione interna, che si manifesta con un “linguaggio che ha perso il contenuto religioso”, la “diminuzione del tempo di preghiera e degli atti religiosi comuni”, la “perdita della visibilità dei consacrati”, “l’opzione per le attività sociali in detrimento di quelle ecclesiali (catechismo, preparazione ai sacramenti,…)”, la “concezione della missione come agente di progresso sociale più che forma di evangelizzazione”.

“Dobbiamo intensificare la preghiera in comune, la visibilità come consacrati, l’uso d’un linguaggio con più riferimenti cristiani, sottolineare la dimensione religiosa e pastorale delle nostre opere, manifestare la comunione visibile con i pastori della Chiesa” ha affermato. 

In merito alla libertà, il Prefetto ha criticato chi “sottolinea in maniera enfatica la libertà degli individui, senza presentare l’aspetto degli obblighi che derivano dalla libertà”, e ha precisato che “libera è quella persona che vive costantemente protesa e attenta a cogliere in ogni situazione della vita, e soprattutto in ogni persona che le vive accanto, una mediazione della volontà del Signore”.

Sulla fedeltà, il porporato ha rilevato che “lo spirito dei nostri tempi è poco favorevole alla fedeltà”: si rilevano “fragilità delle decisioni prese, poca durata degli impegni, facilità con la quale si rinuncia ai progetti e agli obblighi assunti”, per questo bisogna rafforzare la vita consacrata come “esempio di fedeltà, anche nelle difficoltà della vita”. 

La vita consacrata, ha precisato, “non distoglie il suo sguardo da Cristo”, che per amore è stato “testimone fedele”.

Il Cardinal Rodé ha criticato la spiritualità confusa dei nostri tempi, una sorta di “declinazione psicologica della spiritualità”, proponendo al contrario la via cristiana della “vita secondo lo Spirito”. 

Rivolgendosi alle Superiore e in merito all’autorità, ha sottolineato: “Non dovete mai dimenticare che prima di tutto siete state chiamate ad essere le prime obbedienti, mettendo in evidenza con le vostre vite e atteggiamenti che siete al servizio della comunità. Solo in questa maniera potrete guidare e aiutare le consorelle ad obbedire”.

Il Prefetto della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica ha concluso ribadendo che “nessun Superiore può rinunciare alla sua missione di animazione, di aiuto fraterno, di proposta, di ascolto, di dialogo”, perché “il Signore Gesù considera questo ufficio come un atto d’amore verso di Lui”.

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ZENIT Staff

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