CITTA’ DEL VATICANO, giovedì, 24 luglio 2008 (ZENIT.org).- “Segno di contraddizione”: così Giovanni Maria Vian, direttore de “L’Osservatore Romano”, definisce l’Enciclica Humanae vitae, firmata da Paolo VI il 25 luglio 1968.
Il testo, ricorda, “respingeva la contraccezione con metodi artificiali” e andava “contro l’edonismo e le politiche di pianificazione familiare, spesso imposte ai Paesi poveri da quelli più ricchi”.
Appena pubblicata, l’Enciclica sollevò “un’opposizione senza precedenti all’interno della stessa Chiesa cattolica, al punto che il Papa decise di non utilizzare più la forma solenne dell’Enciclica, con ogni probabilità per non esporre a inutili logoramenti l’autorità pontificia”.
Il Cardinale Joseph Ratzinger scrisse nel 1995 che “raramente un testo della storia recente del Magistero è divenuto tanto un segno di contraddizione come questa Enciclica, che Paolo vi ha scritto a partire da una decisione profondamente sofferta”.
Nonostante tutto, il Papa non mutò il suo atteggiamento. Il 23 giugno 1978 ribadì anzi al collegio cardinalizio, “dopo le conferme venute dalla scienza più seria”, le decisioni prese allora per affermare il principio del rispetto delle leggi di natura e quello “di una paternità cosciente ed eticamente responsabilizzata”.
Nel discorso per la solennità dei santi Pietro e Paolo, presentato come un bilancio del suo pontificato, Papa Montini “citò le encicliche Populorum progressio e Humanae vitae come espressioni di quella difesa della vita umana che definì elemento imprescindibile nel servizio alla verità della fede”.
La Humanae vitae, ricorda Vian, “è coerente con le importanti novità conciliari sul concetto di matrimonio” e oggi, di fronte agli “inquietanti sviluppi dell’ingegneria genetica”, appare “lucida e antiveggente quando dichiara che ‘se non si vuole esporre all’arbitrio degli uomini la missione di generare la vita, si devono necessariamente riconoscere limiti invalicabili alla possibilità di dominio dell’uomo sul proprio corpo e sulle sue funzioni; limiti che a nessun uomo, sia privato, sia rivestito di autorità, è lecito infrangere'”.
Malgrado i tanti attacchi a quella che è stata definita “l’Enciclica della pillola”, si levarono anche voci a favore di quanto scritto dal Papa.
Su “L’Osservatore Romano” del 6 settembre 1968, Jean Guitton definì l’enciclica ferme mais non fermée (“ferma ma non chiusa”), perché “se parla della via stretta” mostra che è “la via aperta verso l’avvenire”.
Il Cardinale gesuita Jean Daniélou, dal canto suo, sottolineava che il documento “ci ha fatto sentire il carattere sacro dell’amore umano”, esprimendo una “rivolta contro la tecnocrazia”.
Il direttore de “L’Osservatore Romano” definisce l’Humanae vitae un “autentico segno di contraddizione”, sottolineando che “non è ricordata volentieri” “per il suo insegnamento esigente e controcorrente” e perché “non è utile al gioco ricorrente che mette i Papi l’uno contro l’altro, metodo forse utile dal punto di vista storiografico per delineare ovvie diversità, ma da respingere quando è usato strumentalmente, come avviene di continuo soprattutto nel panorama mediatico”.
Sostenitori di Paolo VI furono infatti il cardinale Karol Wojtyła, “l’Arcivescovo di Cracovia che aveva avuto un ruolo importante nella commissione allargata e che avrebbe poi molto innovato con il suo magistero pontificio sul corpo e la sessualità”, e Joseph Ratzinger, “altro porporato ab eo creatus“.
Questo aspetto, conclude Vian, mostra “la vitale continuità della proposta cristiana anche sul problema del controllo delle nascite”, che già il 23 giugno 1964 il Papa definiva “estremamente grave” perché “tocca i sentimenti e gli interessi più vicini alla esperienza dell’uomo e della donna”.