Che cos’è costruire la Chiesa?

CAPO RIZZUTO, sabato, 12 luglio 2008 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito l’intervento introduttivo dell’Arcivescovo di Crotone-Santa Severina, monsignor Domenico Graziani, per la Settimana biblica interdisciplianre “Bibbia e Comunicazione” che si è svolta a Capo Rizzuto, dal 6 all’11 luglio, sul tema “Paolo: una strategia di annuncio. Identità di una comunicazione d’impatto”.

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Sono onorato di poter accogliere, in questo bell’angolo della costa ionica calabrese, voi carissimi partecipanti a questo secondo Convegno su Bibbia e Comunicazione, il quale quest’anno è incentrato, come era ovvio, sulla figura di Paolo. Il mio saluto è anche gratitudine per il Servizio dell’apostolato biblico della Conferenza episcopale italiana; sono grato in maniera particolare a don Giuseppe Mazza e a don Giacomo Perego, ai quali dico anche la mia soddisfazione per la maturazione che registro nei loro scritti, oltre che negli ambiti rigorosi della loro materia di competenza, anche e soprattutto in quell’atto scientifico fondamentale che mette in evidenza che la salvezza si realizza fondamentalmente in un atto di comunicazione e che tutta la chiesa è e fa comunicazione, appartenendo la dimensione comunicativa alla struttura epistemologica fondamentale di ogni modello ecclesiologico qualunque esso sia (cito Mazza pag. 149, Cross Connections).

Il mio ringraziamento si estende ovviamente ai relatori, ai moderatori dei diversi gruppi di lavoro; esso va in maniera particolare a voi convegnisti tutti che, provenendo da diverse parti, mossi dalla passione per la Parola, portate, nella preziosità del vostro scambio e della vostra partecipazione, il bel regalo delle vostre esperienze ecclesiali. L’accoglienza vi viene espressa da me che faccio riferimento alla mia condizione, pro quota mea parte, di costruttore della chiesa, in maniera particolare, su questo territorio.

Che cos’è costruire la Chiesa? Certo è mistero ma se, in timore e tremore, si utilizzano strumenti e modelli specifici, come dei filtri attraverso i quali avvicinarsi al sole incandescente, si può dire che costruire la Chiesa è lasciarsi interpellare dalla domanda dell’essere, ponendosi in sintonia per varios gradus con quella forza di scambio e di trasformazione che è la Trinità di Dio, in quanto essa inter-essa, inter-est con il mondo e la persona che da questo scambio sono trasformati.

Si tratta, come si vede, di un inter-essenza che è fondamentalmente all’insegna del mistero personale e che mette in atto una strumentalità tutta nell’ambito del segno e, solo in funzione di esso, di una sana funzionalità. Il fenomeno di questo admirabile commercium sta nella tutela del riferimento alla globalità del rapporto, alla fisiologia del “mito“, all’armonizzazione e all’armonico rigoroso rispetto delle strategie .

In particolare, partendo dal principio che nessuna conoscenza è vera, e quindi utile, se non si pone come risposta ad una domanda che provenga dall’esistenza, le domande che io porto sono, fra le altre, le seguenti:

La Parola ha un valore sacramentale; esso si percepisce in riferimento all’uso della Parola stessa nella Chiesa e nella vita di ogni credente; di essa si considerano, nella circolarità ermeneutica, i dinamismi pneumatologici e i risvolti che, essendo la parola salvifica, si devono cogliere in ordine alla animazione, alla pastorale e alla spiritualità del credente, comunicatore e partecipe.

Non può sfuggire che nell’esistenza concreta c’è una realtà che diventa codice dei codici della comunicazione, la liturgia; si è chiamati a porre attenzione all’atto stesso in cui il “comunicatore” apre bocca o, se vogliamo, ancor più al momento in cui l’angelo tocca la bocca al comunicatore col tizzone infuocato; c’è bisogno di chiarire l’unità e la pluralità dei soggetti e dei linguaggi che sono coinvolti nel processo della comunicazione.

Nella interazione dei comunicatori è necessario cogliere con le necessarie analogie anche un’adeguata conoscenza dei diversi destinatari, facendo riferimento alla diversità delle culture e alla diversità dei linguaggi.

In un contesto nel quale si percepisce un inaridimento della comunicazione e, di conseguenza, delle stesse verità da comunicare ci si accorge che: “lo smarrimento di una trascendenza intesa in senso cristiano (Dio personale e/o tripersonale) diventa la più imme­diata chiave per l’interpretazione del crollo dì interesse per le metanar­razioni e per la nozione stessa di verità (assoluta). La “paralisi” opera­tiva che consegue a molti relativismi della contemporaneità produce di fatto un “esilio” dalla realtà, dalla sua fruizione più immediata e dal carattere vincolante del regime normativo in essa vigente. Ne nasce la tipica e ben nota “anomia selvaggia” del virtuale, popolato da presenze che dissimulano la propria identità, negoziandola e sfumandola continuamente. A questi nodi problematici corrispondono, però, almeno altrettante risorse: alla de-verticalizzazione corrisponde, quasi paradossalmente, un continuo desiderio di progresso e di emancipazione. Si tratta di un’ansia di (auto)superamento che articola le sue spinte prometeiche non più verso cieli troppo alti, ma verso la finitezza e la compassione nei riguardi di ciò che termina e decade. E’ la fedeltà al finito, al presente, che costituisce la vera attenzione postmoderna: a partire da qui, al crollo delle epistemologie e alla liquidazione del concetto di verità assoluta si sostituisce la cura della “verità” del finito stesso, da ricercarsi in ogni angolo di ciò che esiste, anche e soprattutto in quegli angoli più bui e dimenticati dalle epopee metafisiche della storia. Al già visto esilio dal reale si accompagna una sorta di mobilità “esodale” ed un nuovo concetto (dinamico) dell’ “aver casa” in mezzo alle cose. Il reale stesso non viene dichiaratamente rifiutato, ma subisce una sorta di reinterpretazione che vi innesta le dinamiche del possibile, del virtuale, dell’immaginativo e dell’onirico. L’essere umano vi si installa mediante nuove, potenziate capacità relazionali ed una più consapevole sensibilità prospettica, simbolica e olistica (cf Mazza, 2005: parte prima).

La reintegrazione – proposta da R. White (2001) – di un simbolismo in grado di incidere nella sfera del linguaggio pubblico potrebbe assumere esattamente questa forma: quella, cioè, di una risposta teologica finalmente adeguata alle risorse/capacità percettive dell’età contemporanea, una risposta capace di articolare iniziative di azione e comunicazione pastorale dal di dentro di quella sfera di interesse in cui l’uomo di oggi realizza e interpreta se stesso (Mazza pag. 150-151, Cross Connections).

La sorpresa sarà, condivido pienamente, “La comunicazione pastorale, lungi dall’offrirsi come blanda sintesi del gioco delle grammatiche e dei linguaggi del sacro, diventa l’interfaccia attraverso cui l’intera esistenza creata viene posta in grado di interpretare la parola di Dio sul mondo e di trasformare se stessa, nella complessità di tutte le sue componenti, in parola del mondo su Dio. Si tratta di due dimensioni complementari. L’esigenza di parlare in modo nuovo, più “umano” o anche più comprensibile di Dio, deve sempre fare i conti con le esigenze di una teologia “comunicativa” che sappia incorporare l’interesse per l’esperienza creata nel quadro di investigazione del suo “oggetto” formale. D’altra parte, si fa sempre più presente il bisogno “di vedere in che modo – teologicamente giustificato – la stessa realtà d’esperienza possa diventar segno simbolico di una presenza liberata di Dio” (Bartholomäus, 1978: 182). Liberare la comunicazione umana perché impari a dire tutto di Dio significherà così darle una possibilità in più per dire tutto dell’uomo, sul modello di quella relazionalità libera e liberante che costituisce la comunicazione globale di Dio” (Mazza pag. 155-156, Cross Connections).

Interessante il percorso: da una “fenomenologia-estetica della sensorietà” ad una processualità incarnazionale.

L’esito: “Totalizzante il messaggio ricevuto, totalizzante l’annunzio da offrire; globale sin dalla sua divina scaturigine l
a parola comunicata, globale nelle sue umanissime declinazioni la sua stessa riproposizione: è solo equilibrando questa formula che la comunicazione pastorale onorerà il delicato compito di essere sinergia “incarnata” tra l’autocomunicazione divina e la sua stessa, lussureggiante risonanza nella “carne” del creato”
(Mazza pag. 156, Cross Connections).

Sono sicuro che nello svolgimento dell’incontro con Paolo, lo invoco e ve lo auguro, scoprirete o confermerete la lussureggiante risonanza nella” carne” del creato che tale, in contesto di conflitti storici, può essere percepita solo se riferita al Verbo incarnato e che qui in questo angolo di paradiso, area marina protetta, trova senza alcun dubbio dei segni rivelatori e dei richiami di straordinaria efficacia. Anche questi vi auguro di poterli godere integralmente,

In Luce et in Verbo Domini qui vos benedicat

Domenico Graziani

arcivescovo

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ZENIT Staff

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