Aborto e depressione (Parte II)

Intervista a Theresa Burke fondatrice di Rachel’s Vineyard Ministries

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KING OF PRUSSIA (Pennsylvania), sabato 11 marzo 2006 (ZENIT.org).- La depressione derivante dall’aborto è spesso un fenomeno sottaciuto e ignorato, che invece deve essere affrontato apertamente, secondo Theresa Burke, fondatrice di Rachel’s Vineyard Ministries.

Nella seconda parte di questa intervista rilasciata a ZENIT, Theresa Burke, spiega che la depressione è una conseguenza naturale dell’aborto, che può manifestarsi anche a distanza di anni.

Rachel’s Vineyard organizza ritiri nei fine settimana per le persone affrante dal dolore emotivo o spirituale a causa di un aborto.

La prima parte di questa intervista è pubblicata nell’odierno servizio di “Analisi internazionale”.

Qual è il rischio di sviluppare forme di depressione a causa del senso di colpa per aver abortito?

Burke: L’aborto, essendo legale, è considerato normalmente anche come un qualcosa di sicuro. Anzi, normalmente è considerato come un “diritto” della donna.

Questo diritto, o privilegio, dovrebbe liberare la donna dal peso di una gravidanza indesiderata. Dovrebbe procurare sollievo e non afflizione e depressione.

Uno dei maggiori problemi è che la donna che viene assalita dalle proprie reazioni istintive legate alla perdita del bambino, non se l’aspetta e non capisce cos’è che non va.

Molte donne ricorrono ai medici per le loro forme di depressione, di ansia o di dipendenza, senza capire la radice della loro malattia. In molti casi le vengono somministrati farmaci, ma mai vengono accompagnate lungo un percorso che porta alla guarigione e al recupero.

Memorie e sentimenti irrisolti inerenti l’aborto diventano fonte di pressione che può esplodere a distanza di anni in modi inaspettati. Presto o tardi i sentimenti irrisolti dovranno essere affrontati, spesso con l’emergere di disturbi emotivi o comportamentali.

Il professor David Fergusson, ricercatore della Christchurch School of Medicine in Nuova Zelanda, ha svolto uno studio in cui voleva dimostrare che l’aborto non comporta alcuna conseguenza psicologica. Ma si è sorpreso nello scoprire che le donne che hanno avuto un aborto avevano una probabilità 1,5 volte superiore di sviluppare malattie mentali, e 2 o 3 superiore di diventare tossicodipendenti o di fare abuso di alcol.

Fergusson ha seguito un campione di 500 donne dalla nascita all’età d 25 anni. “Quelle che hanno abortito avevano elevate probabilità di sviluppare successivamente problemi di salute mentale, tra cui la depressione (aumento del 46%), l’ansia, comportamenti suicidi e tossicodipendenza”, afferma lo studio pubblicato nel Journal of Child Psychiatry and Psychology.

L’aborto è in effetti responsabile di una serie di fenomeni gravi:

— aumento del 160% nei tassi di suicidio negli Stati Uniti nel 2001, secondo l’Archives of Women’s Mental Health;

— aumento del 225% nei tassi di suicidio in Gran Bretagna nel 1997, secondo il British Medical Journal;

— aumento del 546% nei tassi di suicidio in Finlandia nel 1997, secondo gli Acta Obstetrica et Gynecologica Scandinavica.

In definitiva, la media degli aumenti nell’incidenza del suicidio riportati da questi tre studi è del 310%!

Gli alti tassi di suicidio successivi all’aborto contraddice chiaramente l’idea che porre fine alla gravidanza possa essere una scelta più sicura rispetto a quella di dare alla luce il bambino.

Lo studio più autorevole sui legami tra ricovero psichiatrico e aborto rivela che nei quattro anni successivi ad una gravidanza, le donne che abortiscono ricorrono alla psichiatrica da due a quattro di più rispetto alle donne che portano avanti la gravidanza.

Un altro studio rivela che anche quattro anni dopo aver abortito, i tassi di ricorso alla psichiatria rimangono del 67% più alti rispetto alle donne che non hanno abortito.

Secondo l’Archives of Women’s Mental Health, nel 2001, le donne che hanno abortito risultano aver sviluppato in maggior misura reazioni di aggiustamento, psicosi depressive e disturbi neurologici e bipolari.

Anche il rischio di depressione o psicosi post parto per le nascite desiderate è maggiore per le donne che avevano precedentemente abortito.

Per una media di otto anni successivi all’aborto, le donne sposate hanno dimostrato una propensione a cadere in depressione clinica del 138% superiore rispetto alle corrispondenti donne che avevano portato avanti la loro gravidanza indesiderata. Questo, secondo il British Medical Journal del 19 gennaio del 2002.

Riguardo il problema dell’alcol e della tossicodipendenza, le donne che hanno abortito risultano essere 4,5 volte più portate ad affrontare il loro contrasto e dolore interiore in questo modo.

E questo dato si basa solo su quelle donne la cui dipendenza da alcol o dalle droghe è resa nota. Non sono invece considerate tutte quelle donne che ogni sera si bevono i loro otto bicchieri di vino pensando che ciò sia semplicemente un modo per rilassarsi. Questo aspetto è stato riportato dall’American Journal of Drug and Alcohol Abuse, nel 2000.

Le conclusioni del primo studio di lungo termine condotto dal dr. Vincent Rue riportano abbondanti dati sui disturbi da stress post traumatico.

Dalle statistiche relative agli Stati Uniti risulta che:

— Il 55% di coloro che hanno abortito afferma di avere incubi e di essere ossessionato dall’aborto;

— Il 73% afferma di avere dei flashback;

— Il 58% delle donne afferma di avere pensieri suicidi e di riferirli direttamente all’aborto;

— Il 68% rivela di essere scontenta di se stessa;

— Il 79% si sente in colpa e afferma di essere incapace di perdonarsi;

— Il 63% ha timori per future gravidanze e dell’idea di diventare genitore;

— Il 49% non si sente a proprio agio vicino ai neonati;

— Il 67% si descrive “sentimentalmente insensibile”.

Da molti altri studi ed esperienze cliniche si comprende che per molte donne l’emergere di disfunzioni sessuali, di disordini alimentari, di un aumento del consumo di tabacco, di attacchi di panico e di ansia, o di relazioni conflittuali, è un dato costante che consegue all’esperienza dell’aborto.

Esiste un motivo scientifico o politico per cui non è stata svolta una vera ricerca diretta ad analizzare i possibili nessi tra aborto e depressione?

Burke: Come società, sappiamo discutere dell’aborto in quanto problematica politica, ma non sappiamo parlarne ad un livello intimo e personale.

Non vi è alcun obbligo sociale che imponga di affrontare la questione dell’aborto, tanto che tutti cerchiamo di ignorare il problema.

Uno dei motivi per cui non vogliamo parlare del dolore delle donne e degli uomini che hanno vissuto l’esperienza dell’aborto è che, come società, siamo profondamente turbati dalla questione. Mentre la gran parte della gente ritiene che l’aborto debba essere legalmente consentito in certe circostanze, la maggioranza di essi ne è al contempo moralmente turbata.

Secondo uno dei sondaggi più autorevoli, il 77% dell’opinione pubblica ritiene che l’aborto sia la soppressione di una vita umana, mentre il 49% lo equipara all’omicidio.

Solo il 16% afferma di credere che l’aborto sia solo “un’operazione chirurgica diretta a rimuovere del tessuto umano”.

Persino un terzo di coloro che si dicono fortemente favorevoli alla “libertà di scelta” ammette di credere che l’aborto sia la soppressione di una vita umana. Questo è quanto riportato da James Davison Hunter nel suo libro del 1994 “Before the Shooting Begins: Searching for Democracy in America’s Cultural War”.

Da queste conclusioni si desume che la maggior parte degli americani mette da parte le proprie convinzioni morali,
in nome del rispetto del “diritto di scelta della donna”.

Come società abbiamo scelto di tollerare la morte di esseri umani non nati, al fine di migliorare la vita delle donne.

Questo compromesso morale viene tuttavia messo in discussione quando le donne manifestano la loro tristezza e il loro dolore a causa dell’aborto. In questo modo fanno sentire scomodi e turbati i loro ascoltatori.

La depressione post aborto ci costringe a guardare non solo al dolore dell’individuo, ma anche all’angoscia della nostra società. È una questione profondamente complessa e preoccupante, su cui la maggior parte della gente non vuole soffermarsi troppo attentamente.

I fautori dell’aborto spesso esitano a riconoscere la realtà del dolore post aborto perché temono che questo possa in qualche modo pregiudicare l’argomentazione politica a favore della legalizzazione.

La maggior parte dei consultori abortisti, ignorando ogni evidenza, assicurano alle donne che le reazioni psicologiche negative conseguenti all’aborto sono rare o persino inesistenti. Qualsiasi cosa che possa creare turbamento o dubbi viene evitata, nel timore che possa “persuaderla a non dare il suo consenso all’aborto”.

In sostanza, nel nascondere alla donna le informazioni capaci di dissuaderla, altre persone scelgono al suo posto.

La collusione tra ignoranza e negazione dà luogo ad un atteggiamento di abuso e di negligenza nei confronti della donna ed apre la strada a profondi e spaventosi traumi personali.

Lei crede che la consapevolezza del rischio di cadere in depressione possa costituire un deterrente per le donne che considerano l’ipotesi di abortire?

Burke: Spero proprio di sì. Le donne hanno il diritto di conoscere i rischi a cui vanno incontro qualora scelgano di ricorrere all’aborto.

La legge impone il consenso informato per ricevere qualsiasi farmaco o trattamento medico. Questo significa che dobbiamo conoscerne ogni implicazione, ogni aspetto dell’intervento e ogni rischio di breve e di lungo termine. Queste sono informazioni essenziali.

Alla luce di queste statistiche allarmanti, relative ai rischi per la salute mentale, per la salute fisica, per i tumori al seno, ecc., è evidente che una rigorosa regolamentazione è essenziale per la tutela della salute riproduttiva e psicologica delle donne.

Ancora più importate credo sia l’esigenza di infondere fiducia alle donne e agli uomini che hanno sofferto la perdita di un figlio a causa dell’aborto e di fargli sapere che hanno motivo di poter sperare in una piena guarigione. Essi devono sapere di non essere soli.

Nel 1989, un gruppo di esperti convocato dalla American Psychological Association ha concluso unanimemente che l’aborto, entro i limiti della legalità, “per la maggior parte delle donne che vi ricorre, non crea rischi di natura psicologica”.

Gli esperti hanno osservato che se dall’aborto derivassero gravi reazioni emotive, vi sarebbe un’epidemia di donne in cerca di cure psicologiche. Il gruppo ha affermato che non vi è alcuna prova di tale epidemia. E dal 1989 non vi è stato alcun cambiamento significativo di questo orientamento.

È chiaro che essi non hanno tenuto conto della enorme crescita di Rachel’s Vineyard Ministries!

Nel 2006 la nostra organizzazione darà la possibilità di partecipare a 450 ritiri di fine settimana per guarire dai traumi post aborto. A ciascun ritiro partecipano tra le 12 e le 25 persone.

Questo significa che ogni anno partecipano tra le 5.400 e le 11.250 persone.

Il nostro servizio cresce ad un ritmo del 40% annuo. Nei soli ultimi sette anni, migliaia di uomini e donne ci hanno chiesto aiuto, mentre Rachel’s Vineyard si diffondeva in Africa, Taiwan, Russia, Inghilterra, Irlanda, Scozia, Spagna, Portogallo, Sud America, Canada e in tutti gli Stati Uniti.

Inoltre, anche altre organizzazioni post aborto stanno sorgendo ovunque a centinaia. Dunque, a dispetto di quanto pensi l’American Psychological Association – e chi come noi svolge questo tipo di servizio lo sa – è in atto una vera epidemia che è stata vergognosamente ignorata, diagnosticata male e non curata.

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ZENIT Staff

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