Commento all’Enciclica “Deus Caritas est”: Il primato della preghiera su ogni attività

Di padre Paolo Scarafoni, L.C.

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CITTA’ DEL VATICANO, venerdì, 3 marzo 2006 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito l’intervento tenuto dal teologo padre Paolo Scarafoni, L.C., in occasione della Teleconferenza organizzata dalla Congregazione per il Clero il 28 febbraio, a commento della prima Enciclica di Benedetto XVI, “Deus Caritas est”.

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Il primato della preghiera nell’amore cristiano pervade tutta la lettera enciclica Deus Caritas est di Benedetto XVI. La preghiera è intesa come prima espressione indispensabile di tale amore, e come fonte delle opere di carità. Nella prima parte dell’enciclica si sottolinea che l’amore di Dio e l’amore del prossimo sono un’unica realtà (n. 7), di cui il primo aspetto costituisce la fonte, senza la quale l’amore per il prossimo si esaurisce. Ogni cristiano diventa una fonte da cui sgorgano fiumi di acqua viva (Gv 7,37-38). Ma egli non può vivere soltanto nell’amore oblativo e sempre donare. Deve anche ricevere, proprio per essere riempito dalla fonte originaria, che è il cuore di Cristo squarciato sulla croce, apice dell’amore di Dio per noi.

La tradizione e i Padri della Chiesa descrivono l’azione di carità dei pastori fondata sulla contemplazione. La loro carità viene paragonata alla scala sognata da Giacobbe, sulla quale gli angeli salgono a Dio e ridiscendono verso la terra portando doni e benedizioni. San Gregorio Magno dice nella Regola Pastorale che il pastore buono deve essere radicato nella contemplazione, grazie alla quale acquisisce le “viscere di pietà” secondo il cuore di Dio, che gli permettono di fare proprie le necessità degli altri. Dio è veramente buono e misericordioso nei confronti di ciascun uomo, creato gratuitamente; Egli dona tutto senza nostri meriti e perdona e ama in Cristo. Noi impariamo da Dio, nella comunione con Lui realizzata nella preghiera e nella contemplazione, ad avere questo cuore di amore per gli uomini. Impariamo più profondamente che cosa significa amare, quando nella preghiera sperimentiamo di essere amati da Dio. Allora siamo in grado di dare questo amore agli altri, e desideriamo di farlo conoscere (n. 9).

L’Eucaristia ci attira nell’atto oblativo di Gesù. In questo sacramento noi veniamo coinvolti nella dinamica della sua donazione (n.13). La “mistica” del sacramento ha un carattere sociale. L’unione con Cristo è allo stesso tempo unione con tutti gli altri ai quali Egli si dona: quelli che sono diventati suoi o diventeranno suoi. Insieme diventiamo un solo corpo (n.14). Nell’Eucaristia amore per Dio e per il prossimo sono veramente uniti. La beata Teresa di Calcutta ha attinto la sua capacità di amare il prossimo dall’incontro con il Signore Eucaristico.

Nella seconda parte dell’enciclica si ribadisce la necessità e il primato della preghiera e della contemplazione nelle opere di carità dei cristiani. Il Papa parte probabilmente dalla constatazione di un certo affanno e minore entusiasmo nelle opere di carità cristiana. Di fronte alla percezione della ingente necessità morale e corporale della umanità Benedetto XVI richiama tutti i cristiani a un rinnovato e più intenso impegno nelle opere di carità. Il Papa prende in considerazione le reazioni di molti cristiani e di molti uomini di fronte all’oceano di necessità e di sofferenza umana: alcuni pensano che non è più compito della Chiesa risolvere i problemi della giustizia e dello sviluppo dei popoli e che la carità non è in grado di farlo, e rimandano tali soluzioni agli stati e alla politica; altri si lasciano prendere dallo scoraggiamento e dal pessimismo; altri si fanno portate dalla tentazione del fanatismo e del terrorismo; altri arrivano a giudicare e ripudiare Dio che permette tanti mali senza impedirli o rimediarli.

Per superare queste tentazioni che spengono e deformano le opere di carità cristiana, il Papa dice che “è venuto il momento di riaffermare l’importanza della preghiera di fronte all’attivismo e all’incombente secolarismo di molti cristiani impegnati nel lavoro caritativo” (n. 37). La preghiera è una urgenza concreta come mezzo principale per attingere sempre di nuovo la forza da Cristo. Essa risveglia l’amore (“l’amore di Cristo ci spinge” I Cor 5,14). Permette di far trasparire nell’azione pratica l’amore per l’uomo, per ogni uomo. Aiuta a donare senza umiliare, e questo avviene quando nel dono è presente la persona.

Inoltre nella preghiera si esercitano le virtù teologali; così la fede e la speranza aiutano e sostengono la carità. Mediante la fede si favorisce un atteggiamento di fiducia e di abbandono a quanto Dio dispone. Ci si prepara ad un servizio che non pretende di cambiare la volontà di Dio con azioni fanatiche. Ciò aiuta l’operatore ad essere umile, di fronte alla difficoltà e alla grandezza della necessità.

Davanti allo scandalo del male il credente riconosce sempre la sovrana potestà di Dio. È sicuro che il mondo e il destino di ogni uomo sono nelle mani di Dio che è buono e che ama tutti gli uomini. Questa fede nella bontà di Dio permette di adoperarsi in pace con operosità nella carità verso ogni persona concreta che si trova in difficoltà. La speranza cristiana apporta all’azione caritativa la pazienza e l’umiltà nell’insuccesso. Lo sguardo fisso dell’orante sul Cuore trafitto di Gesù fa risplendere davanti agli occhi la certezza che l’amore di Dio esiste realmente in Cristo; che l’amore è possibile e che noi siamo in grado di praticarlo.

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ZENIT Staff

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