“Cristiani in crisi” in Israele: rapporto di “Aiuto alla Chiesa che Soffre”

Dopo la sua visita nella regione, l’organismo internazionale mette in guardia sulla situazione

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GERUSALEMME/KÖNIGSTEIN, venerdì, 27 maggio 2005 (ZENIT.org).- Una “combinazione di povertà, discriminazione e violenza” fa sì che il futuro del cristianesimo in Terra Santa “sia appeso a un filo”, ha avvertito “Aiuto alla Chiesa che Soffre” (ACS) dopo la sua visita in Israele.

L’associazione cattolica internazionale dipendente dalla Santa Sede è stata fondata nel 1947 da padre Werenfried Van Straaten (1913–2003). Il suo obiettivo è sostenere i cristiani perseguitati e bisognosi. Attualmente ha filiali in diciassette Paesi. Nella sua sede internazionale di Königstein (Germania) si finanziano ogni anno circa 10.000 progetti proposti da sacerdoti, religiosi e Vescovi di più di 130 Paesi del mondo.

La crisi dei cristiani in Israele “è così grave” che un’équipe di ACS ha visitato il Paese per verificare sul campo quale aiuto potrebbe prestare l’organismo in questa situazione, relativamente alla quale ha riportato alcune considerazioni in un rapporto inviato sabato scorso a ZENIT dal titolo “Israele: cristiani in crisi – Fedeli pressati da ogni parte”.

“La presenza cristiana nella società israeliana è sul punto di scomparire nel ricordo e corre anche il rischio di scomparire ‘de facto’”, spiega.

“Ridotti a circa 150.000, i cristiani affrontano l’oppressione e la discriminazione nelle scuole, sul lavoro e nella società israeliana a causa della loro religione, del ceto sociale o dell’origine etnica (la maggior parte sono arabi palestinesi)”, sottolinea il rapporto.

Oltre a questo, “il costo della vita aumenta – soprattutto nelle zone palestinesi – e c’è un alto tasso di disoccupazione”.

Nel frattempo “diminuiscono per i cristiani le opportunità di farsi sentire”, perché negli ultimi 40 anni “la proporzione di fedeli nel Paese è andata riducendosi” “dal 20% al 2%” e “la società è cambiata moltissimo a causa della forte immigrazione di musulmani combinata con l’ampia emigrazione di cristiani (400.000 fedeli israeliani vivono ora all’estero)”.

Da parte loro, i “cristiani che hanno scelto di rimanere nel Paese (…) affrontano gli enormi problemi sociali ed economici e cercano un futuro a lungo termine nella loro terra natale”.

ACS ha quindi citato il custode francescano di Terra Santa, padre Pierbattista Pizzaballa, che ha affermato: “Le persone in Occidente sembrano non essere consapevoli del fatto che qui ci sono ancora cristiani che hanno bisogno del loro aiuto”. “Se la loro sorte non cambierà e non diminuirà il tasso di emigrazione – ha ricordato ACS –, i cristiani potrebbero scomparire dalla Terra Santa”.

Tre casi: Maghar, Betlemme e Ramallah

La cittadina di Maghar – a 15 chilometri dal mare di Tiberiade e a 40 da Nazareth – ha circa 18.000 abitanti, la metà dei quali drusi [una comunità che professa una religione derivata da quella maomettana, separatasi dall’Islam intorno al X secolo, presente soprattutto in Libano e Siria], per il 35% musulmani e per il resto cristiani, principalmente cattolici melchiti.

L’11 e il 12 febbraio la città è stata scossa dalla violenza scatenata da fondamentalisti drusi contro la comunità cristiana.

ACS ha visitato la località all’inizio di maggio. Nella notte del 10 febbraio duecento persone si sono lanciate contro i cristiani; all’alba del giorno dopo erano già 4.000. “Circa la metà della popolazione cristiana del luogo è fuggita spaventata”, afferma il rapporto.

”Nonostante sporadici attentati con bombe”, padre Maher Aboud, parroco cattolico di San Giorgio, a Maghar, “ha persuaso la maggior parte delle famiglie cristiane a tornare nelle proprie case e a ricostruire la propria vita” e “predica il perdono”, ha reso noto ACS. “Almeno 40 famiglie, tuttavia, non sono tornate” per paura o per i danni subiti dalle loro abitazioni.

“Abbiamo analizzato la questione, ma non abbiamo trovato niente che giustifichi ciò che ci hanno fatto”, ha affermato il sacerdote, che lavora a Maghar da 28 anni.

“La violenza che i cristiani subiscono a Maghar si ripete in molti luoghi di Israele”, sottolinea ACS.

La città di Betlemme – a sud di Gerusalemme – praticamente “sta scomparendo dietro il muro alto 8 metri elevato dalla autorità israeliane”, ha ricordato ACS. Il muro separa i territori palestinesi da Israele.

La comunità di 60.000 cristiani della regione guarda con timore a questa nuova minaccia alle sue principali fonti di sostentamento: i pellegrinaggi e il turismo.

“L’inizio della seconda Intifada alla fine del 2000 ha rappresentato un disastro per i negozi di Betlemme” a causa della drastica riduzione del turismo. Ora che questo cominciava a riprendersi e i cristiani speravano in un miglioramento della loro situazione, “il muro limita il numero di turisti che entrano a Betlemme”.

I cinque minuti che servivano per spostarsi in automobile da Gerusalemme a Betlemme ora possono durara più di tre ora a causa dei controlli. In genere, poi, i turisti ormai si fermano a Betlemme un giorno, mentre prima vi trascorrevano varie notti, spiega il rapporto.

“Per i cristiani di Betlemme uscire dalla propria città natale è stato complicato per anni, ma il muro renderà tutto molto più difficile. E’ come una condanna a morte per tutti quelli che per lavoro si spostavano tra Betlemme e Gerusalemme”.

“La voce dei cristiani della zona, inoltre, ha poca forza, perché il loro numero è in costante diminuzione paragonato alla crescente popolazione musulmana. Se aggiungiamo l’emigrazione di cristiani, constatiamo che in un periodo di 25 anni la proporzione cristiana di Betlemme si è ridotta del 50%: ora solo un abitante su dieci è cristiano”, afferma il documento.

Un sondaggio recente rivela che il 75% dei giovani cristiani abbandonerebbe il Paese in 24 ore se avesse l’opportunità di farlo.

“La crisi del commercio presuppone un peso enorme per le famiglie cristiane, e molti pensano che il murà li rinchiuderà nelle loro città e nei loro villaggi”, avverte l’organismo cattolico di aiuto.

Nella città di Ramallah – a nord di Gerusalemme –, la crescita della militanza tra musulmani ha provocato un esodo massiccio in una zona che fino al 1948 e alla creazione di Israele era interamente cristiana, ha rivelato ACS.

“A tutti i musulmani piace venire in questa città. A poco a poco i cristiani se ne stanno andando perché non possono convivere con loro. Ci sono alcuni fanatici ai quali la nostra esistenza dà fastidio”, ha spiegato padre Nazaih, da molto tempo parroco di Ramallah, sede del Governo palestinese.

Il sacerdote ha poi parlato del sentimento di amarezza ancora vivo vari anni dopo che alcuni fanatici musulmani hanno rubato la terra cristiana vicina alla chiesa per costruirvi una moschea. “Sono arivati con i trattori e hanno buttato giù i muri delle case. Non potevamo credere a ciò che stava accadendo. Si sono portati via tutto. Anche il governatore non ha potuto fare nulla”, ha raccontato.

Delle migliaia di famiglie cristiane presenti nel 1948 a Ramallah, ne rimanevano già solo poche centinaia, ha affermato padre Nazaih, aggiungendo che circa 40.000 cristiani sono emigrati negli Stati Uniti.

Speranza… ed appello

Nonostante “l’emigrazione dei cristiani non cessi”, ACS ha potuto constatare che “è aumentato il numero di nozze e di nascite”, circostanza che “permette di nutrire speranze per il futuro a lungo termine della comunità cristiana”.

“Sta anche aumentando l’ottimismo in relazione al miglioramento della formazione – ha aggiunto –. Nonostante l’enorme opposizione delle autorità israeliane, il sacerdote greco-cattolico Elias Chacour dirige un attivo centro educativo per 4.000 s
tudenti a Ibillin, nella regione della Galilea (nel nord di Israele)”: “chiamato Istituzione Educativa Mar Elias, è un segno di speranza per la cooperazione tra cristiani e musulmani ed uno dei migliori centri di formazione della zona”.

“Organizzazioni come il Consiglio per i Rapporti Ebraico-Cristiani di Gerusalemme stanno lottando per eliminare le barriere tra ebrei e cristiani”, si legge nel documento.

“Come potranno i cristiani rimanere nel loro Paese natale senza lavoro né futuro? E che significato hanno i luoghi santi cristiani senza una presenza cristiana? E’ nostro dovere informare il mondo a nome di questi cristiani”, ha affermato in una nota di venerdì scorso la responsabile della sezione mediorientale di ACS, Marie-Ange Siebrecht, tornando dalla Terra Santa.

La Siebrecht ha quindi invitato i benefattori di ACS “innanzitutto” a “pregare per la Terra Santa” e a “visitarla” “con organizzazioni cristiane”.

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ZENIT Staff

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