ROMA, lunedì, 23 maggio 2005 (ZENIT.org).- Il 20 maggio 2005, a Châtenay Malabry (Parigi), si è spento serenamente nel sonno all’età di novantadue anni Paul Ricoeur, uno dei filosofi più grandi del Novecento.
La sua morte è avvenuta come l’avrebbe desiderata, come hanno reso noto a ZENIT fonti vicine al pensatore francese: a casa e non in ospedale; senza sofferenze traumatiche; senza perdere coscienza.
Il filosofo ha desiderato che la notizia della sua morte non fosse divulgata fino a che non si fossero svolti i funerali presso la parrocchia protestante. Desiderava infatti che la cerimonia religiosa conservasse un atmosfera di intimità e di contemplazione.
Allievo di E. Mounier, Gabriel Marcel, A. Philip e molto influenzato da Karl Jaspers nella sua formazione esistenzialista, Ricoeur si orientò poi verso la filosofia ermeneutica, che riconosce nel linguaggio della religione, del mito e della poesia la condizione di possibilità ed il significato ultimo del pensiero e della volontà.
Paul Ricoeur è stato molto legato anche ai circoli personalisti italiani in quanto presidente del Comitato scientifico del Centro Ricerche Personaliste di Teramo dal 1985 e della rivista “Prospettiva Persona” sin dalla sua fondazione, nel 1992.
Attilio Danese, filosofo, direttore di “Prospettiva Persona” e promotore, tra le altre cose, di un convengo internazionale sul personalismo svoltosi a gennaio presso la Pontificia Università Salesiana di Roma, ha ricordato con grande affetto il filosofo scomparso: “Il legame di amicizia con Paul Ricoeur che mi ha regalato il Signore mi rende ancora incapace di un giudizio distaccato sul filosofo Ricoeur. Però l’amicizia è anche una chiave calda di luce per leggere un pensiero”.
Secondo Danese, “Ricoeur può essere considerato il filosofo contemporaneo erede diretto della ispirazione personalista di Emmanuel Mounier (1905-1950)”.
“L’incontro con E. Mounier ha infatti il sapore di una conversione al personalismo di ispirazione cristiana. Nel 1946 se ne va ad abitare a Châtenay Malabry, alla periferia di Parigi, dove insieme a Simone, sua moglie, e i suoi cinque figli, condivide con E. Mounier il gruppo delle famiglie Les Murs Blancs”, ha affermato.
“Lavoravamo alla biblioteca, intitolata proprio ad E. Mounier, nell’appezzamento di terreno che Mounier stesso aveva voluto per la sua comunità, e dove ancora vivono i coniugi Fraisse, Domenach e dove ha vissuto, sino alla sua scomparsa, nel 1991, M.me Mounier, che molti hanno conosciuto anche in Italia, intenti alla ricerca delle tracce di E. Mounier, che è stato il tramite e il punto di riferimento del nostro incontro. Abbiamo scoperto lì che Ricoeur si dichiarava effettivamente suo amico e riconosceva anche il suo debito nei suoi confronti, come ebbe modo di dire pubblicamente a Dourdan (1982)”, ha ricordato il filosofo italiano.
“L’incontro con Ricoeur ci ha consentito di ricollegare quello che è l’insegnamento dei suoi scritti con la sua testimonianza di pensatore al servizio di un sapere coerente con la vita. Capivamo che per lui la persona non è una filosofia tra le tante, ma un’autentica sollecitudine etica”, ha aggiunto.
“Attenzione e lucidità intellettuale sì”, ha riconosciuto Danese sottolineando i tratti fondamentali della filosofia di Ricoeur, “ma mai anteposte all’altro dell’incontro inatteso, scoperto come un dono, al di là dei suoi ruoli e dei paludamenti esteriori”.
“Egli è attento al rapporto personale, sempre ricco di stimoli, sempre carico di profondità umana e di responsabilità – ha ricordato –. La filosofia appresa dai testi è cosa meno viva rispetto al filosofo che con sapienza e umiltà ragiona dialogando e cerca, insieme agli altri, la sofia della vita”.
“Nell’osservare la qualità dei suoi incontri, con studenti e docenti, scrittori e donne delle pulizie, è chiaro che il già rettore dell’Università di Nanterre, il cattedratico della Sorbona e dell’Università di Chicago, il maître à penser tra i più desiderati di tutti i simposi di filosofia contemporanea è un pensatore coerente della semplicità e della profondità, della contemplazione e dell’impegno (‘engagement’)”, ha spiegato.
“Dieci anni prima che crollassero i vari muri, forse proprio perché la sua frequentazione clandestina dell’Est europeo gli aveva fatto esperire la drammaticità di una società senza rispetto per la persona, egli indicava nel potere l’intollerabile del nostro tempo, ben più grave della questione economica”, ha sottolineato Danese.
Ricoeur, infatti, è stato “un testimone della fedeltà della promessa di amicizia. Con lui si è lontani dalla cultura superficiale e salottiera, da quella orientata alla carriera e alla ideologia, disimpegnata o superpoliticizzata”.
Secondo Danese, “il dialogo conferma l’apertura delle frontiere che il pensiero realizza in chi è fedele alle tracce di verità che va perseguendo. Di fatto l’incontro con lui è divenuto per noi amicizia a distanza (le lettere non mancano di ricordare in chiusura che l’amicizia è restare ‘en communion de penséé’) segnata dalla fedeltà”.
“La filosofia è tornata ad apparirci con la F maiuscola – ha concluso Danese –; è una vocazione, legata all’etica del comportamento, che non accetta dissincronie o schizofrenie di logiche antitetiche, tra ideali alti e autoreferenzialità dei sistemi, sociali, accademici o politici che siano”.