Benedetto XVI: La storia è nelle mani di Dio

Commento al Cantico dell’Apocalisse (15), “ Inno di adorazione e di lode

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CITTA’ DEL VATICANO, mercoledì, 11 maggio 2005 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di segutio il discorso tenuto questo mercoledì da Benedetto XVI nel corso della tradizionale Udienza generale in Piazza San Pietro, a commento del Cantico dell’Apocalisse (capitolo 15), “Inno di adorazione e di lode”, presentato dalla Liturgia dei Vespri.

* * *

Grandi e mirabili sono le tue opere,
o Signore Dio onnipotente;
giuste e veraci le tue vie,
o Re delle genti!

Chi non temerà, o Signore,
e non glorificherà il tuo nome?
Poiché tu solo sei santo.
Tutte le genti verranno
e si prostreranno davanti a te,
perché i tuoi giusti giudizi si sono manifestati.

1. Breve e solenne, incisivo e grandioso nella sua tonalità, è il Cantico che ora abbiamo fatto nostro elevandolo come inno di lode al «Signore Dio onnipotente» (Ap 15,3). È uno dei tanti testi oranti incastonati nell’Apocalisse, libro di giudizio, di salvezza e soprattutto di speranza.

La storia, infatti, non è in mano a potenze oscure, al caso o alle sole scelte umane. Sullo scatenarsi di energie malvagie, sull’irrompere veemente di Satana, sull’emergere di tanti flagelli e mali, si eleva il Signore, arbitro supremo della vicenda storica. Egli la conduce sapientemente verso l’alba dei nuovi cieli e della nuova terra, cantati nella parte finale del libro sotto l’immagine della nuova Gerusalemme (cfr Ap 21-22). A intonare il Cantico che ora mediteremo sono i giusti della storia, i vincitori della Bestia satanica, coloro che attraverso l’apparente sconfitta del martirio sono in realtà i costruttori del mondo nuovo, con Dio artefice supremo.

2. Essi iniziano esaltando le «opere grandi e mirabili» e le «vie giuste e veraci» del Signore (cfr v. 3). Il linguaggio è quello caratteristico dell’esodo di Israele dalla schiavitù egiziana. Il primo cantico di Mosè – pronunciato dopo il passaggio del mar Rosso – celebra il Signore «tremendo nelle imprese, operatore di prodigi» (Es 15,11). Il secondo cantico – riferito dal Deuteronomio al termine della vita del grande legislatore – ribadisce che «perfetta è l’opera sua; tutte le sue vie sono giustizia» (Dt 32,4). Si vuole, quindi, riaffermare che Dio non è indifferente alle vicende umane, ma in esse penetra realizzando le sue «vie», ossia i suoi progetti e le sue «opere» efficaci.

3. Secondo il nostro inno, questo intervento divino ha uno scopo ben preciso: essere un segno che invita alla conversione tutti i popoli della terra. Le nazioni devono imparare a «leggere» nella storia un messaggio di Dio. L’avventura dell’umanità non è confusa e senza significato, né è votata senza appello alla prevaricazione dei prepotenti e dei perversi.

Esiste la possibilità di riconoscere l’agire divino nascosto nella storia. Anche il Concilio Ecumenico Vaticano II, nella Costituzione pastorale Gaudium et spes, invita il credente a scrutare, alla luce del Vangelo, i segni dei tempi per vedere in essi la manifestazione dell’agire stesso di Dio (cfr nn. 4 e 11). Questo atteggiamento di fede porta l’uomo a ravvisare la potenza di Dio operante nella storia, e ad aprirsi così al timore del nome del Signore. Nel linguaggio biblico, infatti, questo «timore» non coincide con la paura, ma è il riconoscimento del mistero della trascendenza divina. Esso perciò è alla base della fede e si intreccia con l’amore: «Il Signore tuo Dio ti chiede che tu lo tema e che tu l’ami con tutto il cuore e con tutta l’anima» (cfr Dt 10,12).

In questa linea, nel nostro breve inno, tratto dall’Apocalisse, si uniscono timore e glorificazione di Dio: «Chi non temerà, o Signore, e non glorificherà il tuo nome?» (15,4). Grazie al timore del Signore non si ha paura del male che imperversa nella storia e si riprende con vigore il cammino della vita, come dichiarava il profeta Isaia: «Irrobustite le mani fiacche, rendete salde le ginocchia vacillanti. Dite agli smarriti di cuore: “Coraggio! Non temete!”» (Is 35,3-4).

4. L’inno finisce con la previsione di una processione universale di popoli che si presenteranno davanti al Signore della storia, svelato attraverso i suoi «giusti giudizi» (cfr Ap 15,4). Essi si prostreranno in adorazione. E l’unico Signore e Salvatore sembra loro ripetere le parole pronunziate l’ultima sera della sua vita terrena: «Abbiate fiducia; io ho vinto il mondo!» (Gv 16,33).

E noi vogliamo concludere la nostra breve riflessione sul cantico dell’«Agnello vittorioso» (cfr Ap 15,3), intonato dai giusti dell’Apocalisse, con un antico inno del lucernario, ossia della preghiera vespertina, già noto a san Basilio di Cesarea: «Giunti al tramonto del sole, nel vedere la luce della sera, cantiamo il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo di Dio. Sei degno di essere cantato in ogni momento con voci sante, Figlio di Dio, tu che dai la vita. Per questo il mondo ti glorifica» (S. Pricoco-M. Simonetti, La preghiera dei cristiani, Milano 2000, p. 97).

[Al termine dell’Udienza generale il Papa ha rivolto i seguenti saluti in italiano:]

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare saluto i Padri Giuseppini del Murialdo e i partecipanti all’incontro promosso dal Movimento dei Focolari. Saluto inoltre i fedeli di Ischia, accompagnati dal loro Pastore Monsignor Filippo Strofaldi, i Seminaristi dello studio teologico interdiocesano delle diocesi di Cuneo, Fossano, Mondovì e Saluzzo, come pure i rappresentanti della Guardia di Finanza, provenienti da L’Aquila e la delegazione del Corpo nazionale del Soccorso Alpino del Trentino.

Tutti incoraggio a operare, nei rispettivi ambiti di impegno ecclesiale e civile, per la costruzione di una civiltà ispirata ai valori cristiani.

Mi rivolgo, infine, a voi giovani, a voi malati e a voi sposi novelli. Dopo domani ricorre la memoria liturgica della Beata Vergine Maria di Fatima. Carissimi, vi esorto a rivolgervi incessantemente e con fiducia alla Madonna, affidando a Lei ogni vostra necessità.

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ZENIT Staff

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