di Salvatore Cernuzio
CITTA' DEL VATICANO, venerdì, 6 aprile 2012 (ZENIT.org) - Immaginate di trovarvi sugli spalti di uno stadio per assistere ad un’epica lotta, dove un eroe valoroso affronta il crudele tiranno che teneva schiava la città e, con fatica e sofferenza, lo vince.
Tutti noi, dagli spalti, non abbiamo né combattuto, né faticato; ma se ci rallegriamo con il valoroso per la sua vittoria, se siamo compartecipi con lui tanto da sentire come nostra la sua gloria, certamente avremo parte al premio del vincitore.
Partendo da quest’esempio dei Padri della Chiesa, padre Raniero Cantalamessa ha voluto spiegare, nella sua Predica del Venerdì Santo, pronunciata oggi nella Basilica di San Pietro, l’intero mistero della redenzione.
“Così avviene tra Cristo e noi - ha affermato - Egli, sulla croce, ha sconfitto l’antico avversario”. Un richiamo alle parole di san Giovanni Crisostomo, quindi, che scrisse: “Le nostre spade non sono insanguinate, non abbiamo riportato ferite, la battaglia non l’abbiamo neppure vista, ed ecco che otteniamo la vittoria. Sua è stata la lotta, nostra la corona”.
“Poiché siamo stati anche noi a vincere con voci di gioia esaltiamo la vittoria e intoniamo inni di lode al Signore”. È questo il senso della liturgia che stiamo celebrando, secondo padre Cantalamessa; una liturgia che è rappresentazione di una realtà del passato e, allo stesso tempo, la realtà stessa. Una liturgia che “rinnova” l’evento, nel senso che lo “ri-presenta”, rende cioè nuovamente presente e operante l’accaduto.
Questo memoriale liturgico, noi cristiani lo riviviamo in modo “vero e reale”, perché lo riviviamo “secondo lo Spirito”; al contrario di quanti lo hanno vissuto “secondo la carne”, ovvero “prima che lo Spirito Santo ne rivelasse alla Chiesa il pieno significato”.
Proprio in virtù di questo, Padre Cantalamessa ha affermato, quindi, che “non stiamo celebrando solo un anniversario, ma un mistero di cui bisogna “accoglierne” il significato.
“Da spettatori dobbiamo passare ad essere attori – dice Cantalamessa - sta a noi perciò scegliere chi vogliamo essere nel dramma: Pietro, Giuda, Pilato, la folla, il Cireneo, Giovanni o Maria” in quanto nessuno davanti a tanta gloria può rimanere neutrale.
Tale “accoglienza” del significato del mistero, ha però precisato il predicatore della Casa Pontificia, “non avviene automaticamente, solo perché abbiamo partecipato a questa liturgia”, ma “attraverso la fede”.
“Non c’è musica, là dove non c’è un orecchio che l’ascolta, per quanto suoni forte l’orchestra” è l’esempio utilizzato per far comprendere che “Cristo si è immolato per l’uomo nel momento in cui egli riconosce la grazia e diventa cosciente della vita procuratagli da quell’immolazione”.
L’invito è quindi di appropriarci della vittoria di Cristo: “un’appropriazione indebita!” nel senso che “non ci è dovuta, non l’abbiamo meritata noi, ma ci è data gratuitamente, per fede” come scrisse anche San Bernardo, dottore della Chiesa.
In tal senso, ci può aiutare l’esempio del buon ladrone, un “eccellente teologo” secondo Padre Cantalamessa, perché in grado di fare “una completa confessione di peccato”.
Egli, infatti, sulla croce, disse al suo compagno che insulta Gesù: “Neanche tu hai timore di Dio che sei condannato alla stessa pena? Noi giustamente perché riceviamo il giusto per le nostre azioni, egli invece non ha fatto nulla di male”.
“Solo Dio infatti, soffre assolutamente da innocente” ha aggiunto il Predicatore, mentre “ogni altro essere che soffre deve dire ‘io soffro giustamente’, perché, “non è mai del tutto senza colpa”. L’eccezione sono solo i bambini innocenti, il cui dolore “somiglia a quello di Dio; per questo è così misterioso e sacro”.
Ancora un’esortazione, quindi, in questa predica del Venerdì Santo: essere come il buon ladrone e venire allo scoperto, confessando la propria colpa, senza doversi disprezzare perché Cristo non l’ha fatto. Anzi, è proprio in questo modo che “possiamo sperimentare la gioia che il buon ladrone provò quando sentì la parola di Cristo: Oggi sarai con me in paradiso!”.