“Le sofferenze patite dai cristiani negli ultimi decenni hanno portato un contributo unico ed inestimabile anche alla causa dell’unità tra i discepoli di Cristo”. Papa Francesco scava nelle radici dell’ecumenismo nel suo discorso durante l’udienza con Karekin II, Patriarca Supremo e Catholicos di tutti gli Armeni, in visita in questi giorni a Roma. Scava il Papa e vi trova il sangue, versato da Cristo per primo e poi dai diversi martiri della Chiesa antica che “divenne seme di nuovi cristiani” e anche dai seguaci di Gesù perseguitati nei giorni nostri divenuto “seme dell’unità”.

Un martirologio lungo secoli in cui “i figli della nazione armena” vantano purtroppo un “posto d’onore”. Un prezzo troppo alto pagato, dunque, per cui non si può non considerare una priorità l’unità tra le Chiese: “L’ecumenismo della sofferenza, l'ecumenismo del martirio, l'ecumenismo del sangue è un potente richiamo a camminare lungo la strada della riconciliazione tra le Chiese, con decisione e fiducioso abbandono all’azione dello Spirito”, afferma il Papa. E ribadisce quindi “il dovere di percorrere questa strada di fraternità” proprio per questo “debito di gratitudine” verso “la sofferenza di tanti nostri fratelli, divenuta salvifica perché unita alla passione di Cristo”.

Bergoglio considera in tal senso “una grazia speciale” incontrare Sua Santità Karekin II e i membri della famiglia del Catholicosato di tutti gli Armeni “in questa casa, vicino alla tomba dell’Apostolo Pietro”, per condividere “un momento di fraternità e di preghiera”. Al di là dei rispettivi discorsi, il momento cruciale dell’incontro tra il Vescovo di Roma e il Patriarca è stato infatti la preghiera comune nella Cappella Redemptoris Mater, per sottolineare appunto il legame spirituale che unisce la Chiesa di Roma con la Chiesa Apostolica Armena.

Un legame – osserva Francesco – che è andato consolidandosi negli ultimi anni, “grazie anche ad avvenimenti che rimangono scolpiti nella nostra memoria”. In primis, il viaggio di Giovanni Paolo II in Armenia, nel 2001, e anche la presenza di Karekin in Vaticano per occasioni di speciale rilievo. Tra queste, la visita ufficiale a Benedetto XVI nel 2008, e la celebrazione di inizio pontificato di Bergoglio, lo scorso anno.

Più delle altre, Papa Francesco ricorda però “un’altra celebrazione” alla quale il Catholicos ha preso parte: “la Commemorazione dei Testimoni della fede del XX secolo, che ebbe luogo nel contesto del Grande Giubileo del 2000”. Una celebrazione “densa di significato” perché – spiega il Papa - “il numero dei discepoli che hanno sparso il loro sangue per Cristo nelle tragiche vicende del secolo scorso è certamente superiore a quello dei martiri dei primi secoli”.

E – come già detto – nelle prime file delle schiere dei martiri si trova il popolo armeno, sterminato da due tragici genocidi: il primo condotto dal sultano ottomano Abdul-Hamid II negli anni 1894-1896; il secondo collegato alla deportazione ed eliminazione di circa due milioni di armeni negli anni 1915-1916. “Il mistero della croce – dice infatti il Santo Padre - così caro alla memoria del vostro popolo, rappresentato nelle splendide croci in pietra che adornano ogni angolo della vostra terra, è stato vissuto da innumerevoli vostri figli come diretta partecipazione al calice della Passione”. Questa “testimonianza, tragica e alta insieme”, allora, “non deve essere dimenticata”.

Anzi, proprio “sostenuti da un così grande numero di testimoni” - esorta Francesco - “corriamo con fiducia nella corsa che ci sta davanti”, pregando il Signore di donare “quell’unità per la quale Gesù Cristo stesso pregò nell’Ultima Cena”.

Prima di concludere il Pontefice ringrazia Karekin II “per l’effettivo sostegno dato al dialogo ecumenico”, in particolare ai lavori della Commissione congiunta per il Dialogo teologico fra la Chiesa cattolica e le Chiese ortodosse orientali. Infine, incoraggia a pregare “gli uni per gli altri”, auspicando che lo Spirito Santo “possa illuminarci e guidarci verso il giorno tanto desiderato in cui potremo condividere la mensa eucaristica”.

Le ultime parole del Papa sono, dunque, un’orazione di lode ripresa da San Gregorio di Narek, teologo, poeta, scrittore e Dottore della Chiesa armeno: «Accogli il canto di benedizione delle nostre labbra e degnati di concedere a questa Chiesa i doni e le grazie di Sion e di Betlemme, perché possiamo essere degni di partecipare alla salvezza».