ROMA, martedì, 12 ottobre 2004 (ZENIT.org).- Questa domenica a Rimini di fronte alle autorità cittadine e in presenza del vescovo monsignor Mariano De Nicolò, si è svolta l’intitolazione ad Alberto Marvelli, beatificato a Loreto da Giovanni Paolo II il 5 settembre scorso, di quella che è stata fino ad oggi piazza Tripoli.
Piazza Tripoli è la piazza dei Salesiani e uno dei luoghi riminesi maggiormente frequentati da Marvelli: è la piazza dove egli giocò da bambino, la piazza della chiesa e dell’oratorio dove mosse i suoi primi passi nella fede, e dove nell’ottobre del 1946, partì il corteo funebre che ne accompagnò la salma fino a Piazza Cavour.
Per indagare su alcuni di quegli aspetti di Marvelli che lo discostano dall’icona del beato tradizionale, ZENIT ha intervistato il professore Roberto Di Ceglie, docente di filosofia presso l’Università Lateranense.
Di Ceglie è anche coautore del libro sul nuovo beato laico intitolato “Alberto Marvelli: Fedeltà a Dio e fedeltà alla storia”, delle Edizioni Messaggero Padova (15,50 Euro).
Nel libro scritto a quattro mani da Di Ceglie e da Natalito Valentini vengono raccolti gli atti del congresso scientifico promosso quest’anno dalla diocesi di Rimini.
Cosa dice al mondo questo giovane beato contemporaneo in giacca e cravatta?
Roberto Di Ceglie: Un beato in giacca e cravatta sta a significare la capacità cristiana di vestire i panni della storia, rendendola significativa alla luce dei pilastri della fede, l'eucaristia e la preghiera.
In altri termini, quei panni assumono il massimo della loro potenzialità proprio nel costante richiamo dei valori della fede in un Dio che si è Lui stesso in prima persona coinvolto nelle vicende umane.
Marvelli è tra le figure più luminose del cattolicesimo italiano. Perché?
Roberto Di Ceglie: Perché in lui si sono mirabilmente fuse le dimensioni della fede e della storia. Questo connubio, che comporta lo splendore di un'esistenza vissuta in pienezza grazie alla fede in Cristo, ha trovato in Marvelli un'espressione di eccezionale potenza: giovane, atletico, coraggioso, intelligente, capace negli studi e di successo sul lavoro, fermo sulle proprie posizioni ma rispettoso delle diversità, attento al bisogno dell'altro, determinato nel perseguire gli obiettivi conseguenti all'assunzione di doveri e responsabilità, affidabile, sicuro. Chi non sarebbe attratto dal fascino che promana da una simile figura? Luminosa, senz'altro, dunque.
Laico, giovane e beato: è una strada che vorremmo fosse percorsa sempre più spesso?
Roberto Di Ceglie: Certamente in ciascuno di noi vive l'anelito a vedere e a incontrare dei santi. La santità è quindi auspicabile che sempre di più si coniughi alla condizione dei laici, ai quali spetta l'onere di portarla nei contesti della vita di tutti i giorni, in un autentico spirito missionario, di cui sempre maggiormente si avverte l'esigenza.
E risulta in tal senso ancora più affascinante che la giovinezza si incontri con queste vie, poiché è simbolo di freschezza, di apertura alla realtà, e, in un certo senso, di una serena corrispondenza con le cose e con la storia, non ancora viziata, se mi è consentito di esprimermi così, da certa pedanteria che talvolta sopravviene con l'età. Insomma, si tratta di ripensare da questo punto di vista alla spontaneità dei piccoli che non a caso Gesù reclamava fossero lasciati liberi di accorrere a Lui.
Verità e carità, contemplazione e azione...si parla di Marvelli come di un esempio straordinario di fede e storia. Che cosa si intende?
Roberto Di Ceglie: E' costitutivo del cristianesimo l'apprezzamento e lo sviluppo delle realtà terrene. La cultura medioevale ha non a caso coniato il detto Gratia non destruit naturam sed perficit, ossia che non viene meno ma anzi viene accresciuta e potenziata la dignità delle cose del mondo nel confronto col Dio che ama l'uomo al punto da sacrificare per la sua salvezza il proprio unico Figlio.
La straordinarietà dell'esperienza di Marvelli è senz'altro ascrivibile a una eccezionale visibilità di tale connubio, che senz'altro trova particolare ed efficace espressione nella sua capacità di coniugare fede, etica e attività politica. Ma, al di là di tale particolarità, va detto in generale che non si dà alcuna santità senza il connubio di fede e storia.
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Oct 12, 2004 00:00