Quando Francesco lo ha beatificato, alcuni osservatori di fatti vaticani lo hanno definito un Papa “sconosciuto”. Per i più benevoli è stato un Pontefice “di transizione”. Il metro di queste valutazioni è storico: non teologico né ecclesiologico. Perché basterebbero due encicliche come la Populorum Progressio e l’Humanae vitae a smentire chi ne minimizza l’incisività.
Sicuramente, Paolo VI non fu un Papa di rottura, nel senso mediatico del termine: fu eletto nel bel mezzo di un Concilio, che condusse a termine in continuità spirituale con Giovanni XXIII, anch’egli beatificato da papa Francesco. Secondo molti, il beato di Concesio è stato addirittura il precursore della Chiesa in uscita di cui parla Francesco nella Evangelii gaudium, esaltandone la dimensione missionaria.
Questa è la ragione per cui il Movimento cristiano lavoratori, che da sempre si è dato questa proiezione – non dimentichiamo che dalle sue fila nasce il Cefa, una delle più importanti ong cattoliche, fondata dal compianto Giovanni Bersani, che di Paolo VI fu grande amico –ha deciso di dare un’impronta “montiniana” alla sua winter school, organizzata con l’Università Cattolica.
E’ nella sede bresciana dell’ateneo che nella mattinata di sabato 28 febbraio si terrà la tavola rotonda “Per una Chiesa "in uscita. Frontiere aperte dal Beato Paolo VI nella prospettiva del nuovo umanesimo” con il sindaco di Brescia Emilio Del Bono, il presidente dell’Aseri Lorenzo Ornaghi, il vaticanista Andrea Tornielli, il presidente del Mcl Carlo Costalli, il preside della facoltà di scienze della formazione Luigi Pati e l’assistente ecclesiastico dell’ateneo – nonché presidente della Commissione episcopale per la cultura e le comunicazioni sociali della Conferenza Episcopale Italiana, monsignor Claudio Giuliodori. L’evento sarà coordinato dal professor Evandro Botto, direttore del Centro di Ateneo per la Dottrina sociale dellaChiesa.
La chiave dell’evento, organizzato nell’ambito degli incontri preparatori al convegno ecclesiale di Firenze, è quella della continuità tra il magistero del beato e quello dell’attuale pontefice. Una continuità fatta anche di segni: la beatificazione di Paolo VI è avvenuta al termine del sinodo della famiglia, a rimarcare la convinzione con cui papa Paolo VI si spese per una Chiesa sinodale, che camminava insieme, nello spirito del Concilio, improntata ad uno spirito di comunione e di corresponsabilità al proprio interno e aperta al dialogo: la stessa visione proposta da Bergoglio.
Per altro verso, quest’approfondimento proposto dal Mcl e dall’Università cattolica fa giustizia del luogo comune – noto, in quanto tale, anche a chi di Chiesa poco si occupa - che colloca il Papa bresciano in aperta discontinuità con Roncalli e il suo disegno sul Concilio ecumenico Vaticano II.
Non fu così, e basterebbe a smentirlo l’impronta che diede, fin dagli anni in cui resse l’arcidiocesi di Milano, all’Azione Cattolica e a tutto l’associazionismo, come ha testimoniato Giovanni Bersani nella sua ultima intervista, rilasciata ad Avvenire. Rispetto a Giovanni Paolo II, senza dubbio, Montini ebbe una cifra personale diversa e una concezione diversa delle forme in cui si dovesse esprimere la “ministerialità” del laicato cristiano, ma entrambi sono stati Papi e Santi del Novecento, costretti a confrontarsi con i mali del materialismo storico e della scristianizzazione, pronti a girare il mondo per portarvi – fisicamente – la Buona Novella.
Si può dire che Paolo VI non cercasse la gloria che ricevette ma la Croce, nella consapevolezza, da uomo colto e sensibile, di farsi carico dell’ingrato compito di traghettare la Chiesa nella modernità, offrendo al mondo quel “nuovo umanesimo” che sarà oggetto, per l’appunto, del convegno bresciano.