“Il dialogo tra cosmologia e teologia: osare di più?”. È partita da questo interrogativo la conferenza che si è tenuta lo scorso 8 aprile, nell’ambito del Master Scienza e Fede, presso l’aula Magna dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum. Relatore il professor Piero Benvenuti, docente di Astrofisica all’Università di Padova e direttore del CISAS (Centro Interdipartimentale degli Studi e attività spaziali). L’astrofico, che ha caratterizzato il suo lavoro scientifico con una costante tensione al trascendente, ha spiegato i vantaggi reciproci delle due discipline derivanti dal dialogo. ZENIT ha raccolto alcuni spunti della sua relazione per un approfondimento proposto nell’intervista che segue.

***

Professor Benvenuti, quali sono i punti di contatto tra teologia e cosmologia?

Quando a Messa recitiamo il Credo, diciamo: “Credo in Dio Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra…”. E ancora, nel prologo del Vangelo di Giovanni, è scritto che “tutto è stato fatto per mezzo di Lui”. È evidente che nel corso dei secoli, attraverso il metodo scientifico, abbiamo potuto conoscere molte caratteristiche dell’universo un tempo ignote. Ebbene, la teologia non può eludere queste conoscenze perché altrimenti, parlando del creato, si occuperebbe di cose che non corrispondono a ciò che è realtà. Pertanto, la connessione tra cosmologia e teologia è oggi diventata inevitabile. La cosmologia negli ultimi cent’anni ha rivoluzionato la nostra visione del cosmo, così che tutti i nostri ragionamenti sul creato che potevamo fare sino a un secolo fa, vanno rivisti e adattati alla realtà dell’universo come la conosciamo oggi.

Ha dedicato la sua vita professionale allo studio del cosmo. Quali sono secondo lei le ragioni che sostengono l’ipotesi di un Dio creatore?

Dallo studio della natura attraverso il metodo scientifico, ci si rende conto che non è mai possibile ottenere una prova ontologica definita. Ciò detto, ci sono degli indizi che sostengono l’idea di un Creatore, che è tuttavia una libera adesione di fede. La cosa che a me meraviglia sempre quando si guarda ai risultati della cosmologia, è vedere come costruzioni razionali astratte che siamo in grado di cifrare senza nessuna connessione con la realtà dei fenomeni, poi si dimostrano essere le interpretazioni migliori dei fenomeni stessi.

Un esempio?

Ciò che è accaduto con le cosiddette geometrie non-euclidee, ossia quelle sviluppate dai matematici senza alcun supporto osservativo ma solo come esercizi teorici dei quali si pensava che non avessero alcuna connessione con la realtà. Invece oggi, con i dati ultimi che abbiamo ottenuto sulla struttura dell’universo, ci siamo accorti che la geometria dell’universo può essere non euclidea, quindi coincidere con queste elaborazioni puramente astratte e teoriche. Questa comunanza di ordine e razionalità che riscontriamo nel cosmo così come nel nostro procedere mentale è qualcosa di difficilmente spiegabile senza un’unità creativa. Però, ribadisco, si tratta sempre di una libera adesione di fede, poiché si può credere che ciò che ho spiegato poc’anzi sia frutto del caso. Tuttavia, anche chi mantiene una visione totalmente materialistica, deve ammettere che queste coincidenze costituiscono un caso molto speciale.

La teologia è una scienza?

Bisogna anzitutto capire cosa si intende per scienza. Se per scienza intendiamo un procedere verso la conoscenza della verità, allora sicuramente la teologia è da ascrivere a questa categoria. Vanno però distinti i metodi: la scienza fisica utilizza un metodo ormai codificato che è il metodo appunto scientifico, basato sul dato sperimentale. Tutto ciò che non può essere sperimentato, non può essere trattato con metodo scientifico. Ma questo non esaurisce tutta la realtà, poiché esistono tante entità - per esempio l’amore, l’amicizia, l’onesta… - che ci sono ben presenti ma che non si possono misurare con metodo scientifico. Quindi affermo che la teologia, così come la filosofia, è una scienza che adotta un metodo diverso da quello scientifico. I due metodi possono integrarsi tra loro, lo sbaglio commesso nel passato è stato considerare l’uno o l’altro metodo come esclusivi.

Quale il momento storico in cui maggiormente si è acuita questa incomprensione tra scienza e ragione? E per quali ragioni?

Sicuramente il periodo che va dal Settecento all’Ottocento. Analizzando la storia se ne possono anche comprendere i motivi. Quando si è sviluppata la scienza moderna, soprattutto la meccanica celeste, i risultati sono stati stupefacenti: si è riusciti a determinare con grandissima precisione il moto dei corpi celesti, a scoprire corpi celesti mai conosciuti prima grazie a perturbazioni gravitazionali su altri pianeti. Queste nuove scoperte hanno indotto gli scienziati, ma anche i filosofi dell’epoca a pensare che il metodo scientifico fosse l’unico capace di farci ottenere una conoscenza. Dal canto suo, data la condizione di ottenebramento di gran parte degli studiosi, la teologia ha adottato una posizione difensiva, non volendo entrare in colloquio con una scienza accusata di diventare sempre più riduzionista. C’è stata una specie di arroccamento della teologia che ha perso di vista gli sviluppi scientifici.

Ad un certo punto però si ristabilisce un dialogo propositivo. Questo avviene su quali basi?

Dopo quattro secoli di diffidenza, se non addirittura di contrasto tra scienza e fede, nel secolo scorso si apre un importante spiraglio di dialogo, grazie all’avvento della relatività generale e della fisica quantistica. Ci si è resi conti che all’interno della scienza, anche utilizzando il metodo scientifico, ci sono dei limiti alla conoscenza della realtà. Tutto sommato anche lo stesso Galileo Galilei aveva osservato, a suo tempo: “Io rinuncio a tentare di comprendere l’essenza, a capire l’essenza delle cose, mi limito a considerare i fenomeni”. Se da un lato, si ha dunque una svolta da parte della fisica moderna, dall’altro anche la teologia compie dei passi importanti. I documenti del Concilio Vaticano II, in particolare la Dei Verbum, mettono in chiaro in modo molto preciso che tutte le Scritture sono ispirate, ma che quest’ispirazione è funzionale alla nostra salvezza e non alla spiegazione di come è fatto il mondo. Si arriva così ad affermare che le elaborazioni sulle Sacre Scritture sono complementari ai risultati d’ambito scientifico. D’altronde, già san Tommaso d’Aquino aveva fugato ogni contrasto tra scienza e teologia affermando che “la luce della ragione e quella della fede provengono entrambe da Dio” (Summa contra Gentiles). Concetto coerentemente ripreso dalla recente Esortazione apostolica Evangelii Gaudium di papa Francesco in un sottocapitolo che si chiama appunto Dialogo tra la fede, la ragione e le scienze.