ROMA, martedì, 11 ottobre 2011 (ZENIT.org).- “La sua opera è di Dio. E' santa, è buona”, disse Papa Paolo VI nel 1964 quando beatificò Luigi Guanella (1842 – 1915), fondatore dei Servi della Carità e delle Figlie di Santa Maria della Provvidenza.
La “famiglia guanelliana”, come viene definito l'insieme di laici e religiosi che seguono i suoi insegnamenti e la sua spiritualità, è diffusa in 15 Paesi: Italia, Argentina, Cile, Paraguay, Brasile, Colombia, Guatemala, Messico, Spagna, India, Filippine, Stati Uniti, Nigeria, Congo e Ghana.
Per parlare della vita di don Guanella, ZENIT ha intervistato Cristina Siccardi, coautrice, insieme a suor Michela Carrozzino, di “Accordò la terra con il Cielo. Luigi Guanella Santo” (San Paolo, Cinisello Balsamo 2011).
Come sentì la chiamata a diventare sacerdote?
Cristina Siccardi: Non si conosce con esattezza storica il momento in cui Guanella sentì la chiamata sacerdotale. Certamente l’humus nel quale crebbe contribuì notevolmente alla grande scelta: la fede che i genitori gli avevano inculcato, il rosario recitato ogni sera in famiglia, l’esempio avuto dai tre cugini sacerdoti lo aiutarono a formare una spiritualità fortemente religiosa. E poi ci furono quei momenti di profonda intimità, vissuti il giorno della sua prima Comunione, il giovedì santo dell’8 aprile 1852. Aveva 9 anni e accadde qualcosa di travolgente che segnò tutta la sua vita: don Luigi lo descrive in maniera semplice e umile nella sua autobiografia. Deve inoltre aver coltivato la vocazione sacerdotale, già da bambino, soprattutto sul colle Motto del Vento, presso la cascina paterna di Fraciscio di Campodolcino (Sondrio), dove spesso vi si recava per raccogliersi in preghiera e in meditazione.
Come sentì la chiamata a fondare la comunità dei Servi della Carità e delle Figlie di Santa Maria dalla Divina Provvidenza?
Cristina Siccardi: Una visione tracciò la vita di Guanella ed era il giorno della sua prima Comunione: una Signora (come definì la Madonna nel suo racconto) gli fece vedere tutto quello che avrebbe dovuto fare in favore dei poveri. Dirà nel 1907 al nipote, don Costantino Guanella: “E come in un cinematografo vidi tutto quello che avrei dovuto fare”.
Il sogno dei 9 anni fu determinante per tutte le scelte: quell’incontro mistico lo segnò profondamente. Anche a San Giovanni Bosco la Signora era apparsa in sogno quando aveva 9 anni per indicargli la sua terra di missione: i giovani. E don Luigi Guanella sentì parlare del prete dei giovani e volle conoscerlo. Già nel 1870 lo troviamo in visita all’Oratorio di Torino, dove era iniziata la missione salesiana: si mise in viaggio più volte per raggiungere il capoluogo subalpino al fine di incontrare don Giovanni Bosco, il quale lo accolse familiarmente: il “caffè nutrizio” di quegli appuntamenti, dove si affrontavano discorsi molto seri, alleggeriti da qualche battuta umoristica di don Bosco, era prezioso e corroborante per il sacerdote valtellinese...
Fu così che, tornato a Savogno, dove viveva a quel tempo, don Luigi viene afferrato da un forte e prorompente bisogno di comprendere e apprendere le opere di quello speciale sacerdote piemontese. L’ammirazione per don Bosco aveva una sua ragion d’essere anche nei loro temperamenti, molto simili fra di loro: intraprendenti, apostoli di carità, decisi, autorevolmente padri, con un grande amore per l’Eucaristia, la Madonna, il Papa. Chiese a don Bosco di poter stampare, nel 1872, la sua prima opera, il Saggio di ammonimenti famigliari, dove il contadino era messo in guardia di fronte a liberali e massoni che cercavano di soffocare e corrompere i loro principi cattolici.
Guanella conobbe anche San Giuseppe Benedetto Cottolengo e ne rimase affascinato, diventando un’originale sintesi di santità, metodi e finalità caritative fra Giuseppe Benedetto Cottolengo e Giovanni Bosco, entrambi stimati e amati. Per tale ragione si dedicò sia all’istruzione dei giovani, sia al bene materiale e spirituale degli umili, dei dimenticati, di coloro che gridavano come il malato alla piscina di Betzatà: “Non ho nessuno che mi aiuti a calarmi dentro” (Gv 5,7). Fu così che diede vita, nel 1881, al germe iniziale della Congregazione femminile, le Figlie di Santa Maria della Provvidenza. La Casa Madre delle opere guanelliane di Como venne aperta nel 1886, e nel 1908 arrivò l’approvazione della Santa Sede; nello stesso anno, insieme ad altri dieci confratelli sacerdoti, don Luigi emise i primi voti religiosi ufficiali dei Servi della Carità, mentre nel 1913 dal Vicariato di Roma don Guanella ottenne il riconoscimento della Pia Unione del Transito di San Giuseppe per gli agonizzanti, associazione di sacerdoti e fedeli in unione di preghiere per i moribondi. San Pio X fu il primo ad iscriversi, e l’anno seguente elevò l’associazione ad unione per tutta la cristianità.
La sua azione pastorale si svolse nel contesto del movimento di unificazione italiana. Come influì questo fatto storico sul suo apostolato e sulla sua vita?
Cristina Siccardi: Don Luigi Guanella nasce nel 1842, in epoca risorgimentale, e muore nel 1915, durante la prima guerra mondiale. Era un sacerdote battagliero, era noto, infatti, come un “sacerdote dalla testa calda”, con il quale occorreva usare le molle: meglio guardarlo più da lontano che da vicino: un po’ troppo intransigente, molto polemico, poco tollerante, spesso incontenibile. Di certo era prete di coraggio e non conosceva i compromessi politici. Faceva discorsi, scriveva articoli e libri mettendosi contro le autorità liberali che tentavano di demolire, con le idee e le espropriazioni, la Chiesa.
Don Luigi non si nascose mai e, fiero del suo essere cattolico e sacerdote di Santa Romana Chiesa, prese sempre le difese del Papa, quindi di Pio IX, che in quel tempo subì ignobili livori (con una campagna stampa pesantissima) e drammatiche persecuzioni da parte delle autorità civili e governative. Terminata l’età risorgimentale, Guanella rimase fedele paladino del Sommo Pontefice e fu stimato da Pio X. In quel tempo le idee socialiste e marxiste, tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, si fecero strada nella società urbanizzata e industrializzata. Alle idee anticlericali del liberalismo massonico dell’alta borghesia si andavano ad affiancare le idee rivoluzionarie del movimento operaio. Accanto alle trasformazioni demografiche con l’incremento della popolazione, dovuta alla drastica diminuzione della mortalità infantile, si verificava una trasformazione territoriale: la gente migrava dalle campagne alle città. Fra il 1861, anno dell’unità nazionale, e il 1901, la popolazione crebbe del 30 %, mentre quella delle principali città aumentò di oltre il 60%. Don Luigi rimase ancorato a valori e principi tradizionali e fu nemico delle ideologie secolarizzanti e scristianizzanti. Inoltre, vero Archimede della carità, disegnò una ricchissima carta topografica del sostegno e del soccorso, avendo sempre ben presente che la carità non è la laica solidarietà, ma è vedere il volto di Cristo nel bisognoso.
Come influì la spiritualità salesiana nella sua vita?
Cristina Siccardi: Fu un tassello basilare per la sua formazione di educatore. Ci fu subito intesa fra i due santi sacerdoti: don Bosco non esitò a dare a don Luigi immediata fiducia. Fu così che don Luigi entrò quasi come una persona di famiglia nella casa salesiana, tanto da orientare verso i Salesiani e le Figlie di Maria Ausiliatrice le giovani vocazioni della sua terra. Addirittura, negli anni 1870-1875, a più riprese, sostenne l’apertura di un’istituzione salesiana nella Diocesi di Como.
San Luigi condivideva in tutto e per tutto la pedagogia salesiana: l’approccio amorevole e fermo con i giovani e la volontà educativa di prevenire piuttosto che curare le distorsioni etiche. Anche San Luigi come San Giovanni Bosco desiderava portare la salvezza ai g iovani attraverso la scuola e la formazione, perché entrambi i fondatori misero la salvezza eterna al di sopra di tutto, considerandola come l’unica cosa veramente importante.
Qual è il carisma della comunità da lui fondata?
Cristina Siccardi: Intelligente, forte, pieno di Fede e caparbio, don Luigi chiedeva ai suoi sacerdoti di essere “uomini angelici, martiri di virtù e di carità”, e chiamava le sue suore “martorelle” per significare l’agilità del loro operare, ma anche “martirelle”, ovvero piccole martiri, perché invitate dal Signore al sacrificio e al patire. Chiedeva di vivere secondo le quattro F: fame, freddo, fumo, fastidi, e di immolarsi, se necessario, fino alla lettera V per diventare vittime per l’opera redentrice di Dio e per la Sua gloria. Pilastri del carisma guanelliano sono grande pietà, assidua preghiera e fiducia estrema nella Divina Provvidenza.
I figli e le figlie di San Luigi Guanella continuano ad operare sulle linee del loro fondatore, quali strumenti della Provvidenza: sensibilità nel vedere, capire e soccorrere il prossimo, prossimo che è immagine di Cristo, e come il santo sono chiamati ad evangelizzare i poveri, rivelando l’amore del Padre nel quale sempre occorre sperare.
L’apostolato viene condotto soprattutto tra i più provati nel corpo e nello spirito, privi di appoggio umano: vengono curati ragazzi, anziani e malati e grande è l’impegno verso i poveri. Su tutto alita lo spirito di Carità. L’eredità spirituale lasciata dal fondatore è sintetizzabile nella famiglia di Nazareth: semplicità, confidenza e completa disponibilità ai voleri del Padre. San Luigi Guanella ha tracciato nel “metodo preventivo” una via che conduce, ad imitazione della bontà di Dio, a circondare di amorevolezza e di sollecitudini i fratelli. “Pregare e patire” è il programma guanelliano, due condizioni fondamentali per la santità e l’efficacia delle sue congregazioni.