Le porte del perdono di Dio sono sempre aperte ma bisogna avere un cuore aperto a lui. Lo ha detto papa Francesco durante l’omelia di stamattina alla Casa Santa Marta, traendo spunto in primo luogo dalla prima Lettura odierna (Dan 3,25.34-43), dove il profeta Azaria chiede umilmente clemenza al Signore per le colpe del suo popolo.

“Chiedere perdono”, ha osservato il Santo Padre, è qualcosa di diverso dal “chiedere scusa”. Il peccato, infatti, è qualcosa di più di un semplice “sbaglio”; esso è piuttosto “idolatria”, è diventare schiavi “dell’orgoglio, della vanità, del denaro, del ‘me stesso’, del benessere”. E il profeta Azaria, in tal senso, non chiede semplicemente scusa ma “chiede perdono”.

Così come il perdono va chiesto col cuore da chi ha peccato, esso va donato altrettanto di cuore a chi ci fa un torto. Nella parabola del Vangelo di oggi (Mt 18,21-35), il padrone condona un notevole debito di un suo servo, dopo essere stato umanamente toccato dalle sue suppliche. Esattamente il contrario di quanto fa quello stesso servo con un suo pari, fatto gettare in carcere per un debito di molta minore consistenza.

Nel Padre Nostro, Gesù ci insegna a rimettere i debiti ai nostri debitori, tuttavia “se io non sono capace di perdonare, non sono capace di chiedere perdono”. Pertanto, ha ricordato il Papa, ogni volta che uno va a confessarsi, non solo deve promettere di non ripetere più il peccato ma dovrà prima riconciliarsi con quelli che gli hanno fatto del male. In definitiva, “il perdono che Dio ti darà” richiede “il perdono che tu dai agli altri”, ha aggiunto Francesco.

Due sono, quindi, i principi che Gesù ci insegna sul perdono: in primo luogo “chiedere perdono non è un semplice chiedere scusa, è essere consapevoli del peccato, dell’idolatria che io ho fatto, delle tante idolatrie”.

In secondo luogo, “Dio perdona sempre ma chiede che io perdoni”. Se io non ho capacità di perdonare, “in un certo senso chiudo la porta al perdono di Dio”, ha quindi concluso il Pontefice.