di padre John Flynn, LC

ROMA, lunedì, 14 maggio 2012 (ZENIT.org) – Ogni volta che preghiamo il Padre Nostro, diciamo “venga il Tuo Regno”, tuttavia c'è da chiedersi quanti fedeli comprendano correttamente cosa significhi questa espressione. Se lo domanda il cardinale Donald Wuerl in un suo recente saggio.

In Seek First the Kingdom: Challenging The Culture bt Living Our Faith (Our Sunday Visitor), il porporato osserva che nel Nuovo Testamento questo “regno” è citato assai di frequente: l'espressione “Regno di Dio” è, infatti, menzionata non meno di 122 volte. Nell'intero Antico Testamento, al contrario, appare una sola volta.

Questo regno non significa semplicemente essere buoni e gentili gli uni gli altri, ma nemmeno indica una forma di teocrazia o ricerca del dominio politico. Non è nemmeno una metafora: secondo il cardinale Wuerl, è qualcosa di reale.

La definizione più elementare di questa espressione, spiega il cardinale, è che il regno di Dio equivale alla presenza di Dio. Dio regna ovunque sia presente ed Egli è dappertutto, sebbene sia un puro spirito che trascende ogni cosa.

“Sulla terra il regno è misteriosamente nascosto e si può incontrare ovunque ma solo spiritualmente”, scrive Wuerl. “Ci sono segni di tale regno ma, per percepirli, dobbiamo rafforzare i nostri sensi spirituali”.

Eppure, ha aggiunto il Cardinale Wuerl, il regno è più che spirituale. Siamo umani, con un'anima spirituale e un corpo materiale, ed entrambi questi elementi sono essenziali alla nostra umanità. “Parimenti, il regno è interiore ma ha anche una dimensione o un elemento esteriori”.

Gesù non ha comandato ai suoi discepoli di annunciare il suo regno soltanto con le parole, ma anche con le opere, dall'assistenza ai malati, alla risurrezione dei morti, fino allo scacciare i demoni.


La Chiesa

Gesù ha anche identificato il suo regno con una società facilmente riconoscibile: la Chiesa. Ha nominato Pietro guida degli apostoli. “Le Scritture sono chiare su questo punto: se vogliamo trovare il regno, ora o in futuro, dobbiamo prima trovare la Chiesa”, commenta il cardinale Wuerl.

Perciò il regno è stato edificato da Cristo, è qui ma sta ancora crescendo. E, al tempo stesso, nell'attesa della fine dei tempi, Cristo regna attraverso la Chiesa. Se non possiamo vedere il regno, in quanto oscurato dal comportamento malvagio di certi Cristiani, il cardinale Wuerl raccomanda di impegnarci a cercarlo con una fede ancora più profonda.

Ci sono numerosi segni del regno di Dio, tuttavia, osserva Wuerl, ve ne sono sette più importanti degli altri: i sacramenti. I sacramenti sono segni, non solo simboli. Essi non rappresentano solo un insegnamento ma davvero ci donano la vita di Dio.

Comunque, la grazia dei sacramenti non si limita a noi stessi, sottolinea l'Autore. Siamo creati per portare l'amore di Dio a un mondo che ne ha disperatamente bisogno. É così che la Cristianità ha cambiato il mondo.

“Le nostre vite possono essere segni del regno, visibile a tutti coloro che sono al di fuori del regno edificato da Gesù Cristo”, aggiunge l'Autore.

Le nostre azioni, prosegue il porporato, mettono in moto una serie di eventi successivi. “Questa è la grande dignità della vocazione dei laici: portare la fede nel mondo e dare testimonianza ovunque”, scrive Wuerl.

I Cattolici laici possono andare in posti non accessibili ai vescovi: luoghi di lavoro, campi sportivi o negozi. Perché la Chiesa non fa di più?, si domandano alcuni. Forse, osserva il cardinale Wuerl, la vera domanda che tutti i cattolici dovrebbero farsi è: “perché non posso io fare di più?”.


La vocazione

La vocazione dei laici alla costruzione del regno di Dio non è una vocazione di “seconda categoria”, osserva Wuerl. La missione dei laici è fare tutto ciò che Cristo vuole.

La tradizione cristiana ha molto da offrire alla società. I suoi insegnamenti sulla dignità umana, le sue opere di misericordia, il bene comune, la solidarietà, la libertà di coscienza, arricchiscono la società. Promuovere tali idee è un modo in cui i laici possono promuovere il regno.

In alcuni circoli assai influenti, aggiunge il cardinale Wuerl, l'opinione basata sulla convinzione religiosa non è più molto ben accolta. Il pericolo è che le libertà di religione e di coscienza siano ridotte alla libertà di culto all'interno delle chiese e le convinzioni vadano lasciate all'uscio della chiesa.

Quelle che un tempo erano considerate idee valide, sono ora condannate come incitazioni all'odio e ogni sfida alla ridefinizione di istituzioni come il matrimonio o l'assistenza sanitaria, vengono ormai etichettate come discriminazioni.

Tutti noi, in certe fasi della nostra vita, vivremo momenti in cui dovremo scegliere se batterci o no per ciò in cui crediamo, osserva ancora il cardinale Wuerl. Se da un lato non dobbiamo cercare di imporre le nostre concezioni con la forza ed esprimerle con amore, dall'altro non possiamo rimanere in silenzio.

“Dobbiamo combattere quando il regno è attaccato, sminuito, travisato o ignorato”, prosegue il cardinale. “Individualmente e collettivamente, quietamente o insistentemente, i Cristiani sono chiamati a battersi per Cristo e per il suo regno”, aggiunge. Vista la direzione in cui oggi molti paesi si stanno muovendo, queste opportunità di battersi non mancheranno.


[Traduzione dall'inglese a cura di Luca Marcolivio]