di Luca Marcolivio

ROMA, giovedì, 30 ottobre 2008 (ZENIT.org) – Non si può parlare di difesa della vita senza una seria riflessione sul suo significato. Ed è impossibile comprenderne il valore profondo, se non si contemplano la caducità e la sofferenza che spesso scaturiscono da essa. Questi in sintesi i contenuti del convegno “La vita: fragilità e pienezza”, tenutosi il 28 ottobre sera nella Basilica di San Lorenzo fuori le Mura.

L’incontro, organizzato dall’associazione “Identità e Confronti” in occasione del Giubileo Laurenziano, ha visto la partecipazione di medici, psicologi, prelati, parlamentari e giornalisti. Ognuno dei relatori ha affrontato la tematica della vita nella propria ottica professionale ma sempre corroborata da una concezione etica cristiana.

Punto di partenza del dibattito è stata la relazione “Al centro la persona umana” di monsignor Elio Sgreccia, Presidente emerito della Pontificia Accademia per la Vita. “Già Socrate – ha esordito Sgreccia – esortava l’uomo a conoscere se stesso, ovvero conoscere soprattutto le proprie fragilità e i propri limiti. Questo concetto è stato rafforzato con il pensiero cristiano”.

“Lo stesso primo kerigma ‘convertitevi e credete al Vangelo’ (Mc 1,14-20) – ha proseguito il presule – implica un ‘ritorno su di sé’, un giro di introspezione e di cambiamento. Anche Sant’Agostino misurò il proprio passaggio dal paganesimo al cristianesimo, seguendo una voce interiore e divina che gli suggeriva ‘entra in te stesso’”.

“La dottrina dei diritti dell’uomo – ha aggiunto – ne tutela la dignità per il fatto stesso che è uomo. E noi siamo tenuti a interpretare la fragilità, guardando dentro il cuore dell’uomo. Tuttavia l’essere umano sussiste in sé e per sé ma non da sé”.

“L’uomo – ha spiegato Sgreccia – è fatto di una corporeità biologica, a cui però si aggiunge una forza superiore: la spiritualità. Soltanto lo spirito infonde nel corpo la forza di esistere, gli dona capacità e risorse, lo eleva a una superiore dignità. Se il corpo esiste è perché lo spirito gli conferisce la vita, dando luogo a una soggettività unica”.

“Pertanto gli atti che una persona compie – ha poi osservato – rivelano la persona ma non la esauriscono. È sufficiente che esistano delle potenzialità a compiere tali atti, per rendere uguale la dignità di ogni persona”.

“Ben diversa è la moderna mentalità del contratto sociale che considera degne soltanto le persone in grado di prendere decisioni. Anche le religioni orientali, essendo dominate dall’impersonalismo, con molta difficoltà riescono a concepire la responsabilità personale”, ha poi concluso l’Arcivescovo.

Nella prima tavola rotonda, avente ad oggetto “Le sfide della vita”, è spiccato l’intervento dell’europarlamentare Carlo Casini, fondatore e presidente del Movimento per la Vita. L’onorevole Casini ha esordito ricordando uno degli ultimi discorsi pubblici di Papa Giovanni Paolo II che, rivolto al corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, aveva indicato la sfida della vita come “la più importante dell’uomo moderno”.

Richiamando, poi, l’imminente 40° anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino, Casini ha sottolineato come “in un momento angoscioso della storia dell’umanità, a soli tre anni dalla fine del secondo conflitto mondiale, un nuovo ‘atto della mente’, come la proclamazione dell’uguale dignità dei cittadini, poneva nuove basi per la speranza dell’umanità”.

“Come sottolinea la Evangelium Vitae, i diritti umani precedono le leggi e le giudicano – ha aggiunto Casini –. Se però perdiamo di vista chi è l’uomo, il quadro di tali diritti va in pezzi. In questo ambito la sfida, infatti, non è provare l’esistenza di Dio ma l’esistenza dell’uomo”.

“Ma chi è davvero l’uomo? L’allora cardinal Ratzinger ce ne fornì una risposta illuminante, nel 1987, durante un incontro con noi del Movimento della Vita. Spiegò che la vera natura umana è svelata da Pilato nell’Ecce homo (Gv 19,5). Quel Cristo piagato e sanguinante è l’emblema dell’uomo nei suoi momenti di massima fragilità. È in quelle circostanze che cogliamo l’essenza della nostra vita”.

<p>Secondo Casini, la mentalità contro la vita, in special modo contro la vita nascente, si è diffusa tra le masse ed è vista da molti come una conquista della civiltà, “perché esiste una mentalità materialista che non vuole indagare il mistero dell’uomo. È un tipo di cultura che non vede, non spera, non progetta”.

“Alla radice di tale cultura della morte – aggiunge Casini – c’è la corruzione del concetto di libertà, che porta a vedere, ad esempio, la nascita di un figlio come un ostacolo all’autodeterminazione”.

La seconda tavola rotonda ha affrontato il tema dei “Contenuti elementari per la ricerca del vivere umano”. In questa sede lo psichiatra e psicoterapeuta Tonino Cantelmi, presidente dell’Associazione Psicologi e Psichiatri Italiani, ha tracciato l’identikit dell’uomo del terzo millennio alla luce della crisi delle relazioni interpersonali e delle ‘tecnodipendenze’.

“Noi psicoterapeuti ci troviamo di fronte ad un tipo umano alquanto più depresso e più ansioso che in passato – ha spiegato il professor Cantelmi -. È più soggetto ad attacchi di panico ed è diventato dipendente da comportamenti ed abitudini che ripete in modo compulsivo, siano essi il sesso, il gioco, lo shopping o la navigazione in Internet”.

L’uomo del terzo millennio, secondo Cantelmi, è schiavo delle tecnologie moderne, in special modo della comunicazione: SMS, videofonini, chat line, social network. “In particolare i social network, attraverso i quali l’utente può pubblicare un proprio profilo, mettere in rete le proprie foto e costruirsi un immagine pubblica, sono la spia di una grandissima solitudine”, ha affermato.

“Il successo delle moderne tecnologie della comunicazione – ha aggiunto lo psichiatra – cela la più straordinaria crisi delle relazioni interpersonali che la nostra società abbia mai conosciuto. Siamo diventati abili a ‘tecnologizzare’ le nostre relazioni, con il risultato che le relazioni ‘faccia-a-faccia’ sono diventate più problematiche”.

“La gioventù attuale – ha concluso Cantelmi – è la generazione dei nativi digitali, coloro che a differenza dei loro genitori, a tre anni sanno già maneggiare un cellulare e sanno far funzionare altri strumenti senza bisogno del libretto di istruzioni. Non si tratta di un semplice cambiamento culturale: è un cambiamento antropologico che coinvolgerà lo stesso cervello umano”.

Lo sconfortante scenario illustrato da Cantelmi, ha avuto come contraltare l’intervento “Un percorso di risveglio”, a cura dello psichiatra Alessandro Meluzzi. Partendo da una tematica sempre più rimossa nelle discussioni dell’uomo contemporaneo, come quella della fine dei tempi, Meluzzi ha sottolineato come, anche nel Vangelo, l’umanità tenda ad ‘addormentarsi’ proprio nei momenti cruciali della storia della salvezza.

“Si addormentano le vergini stolte (Mt 25,1-13) – ha osservato Meluzzi – si addormentano gli apostoli durante la preghiera di Nostro Signore nel Getsemani (Lc 22,45)… . Anche quest’epoca ha bisogno di uno scossone e di un risveglio. Per farlo dobbiamo imparare a contemplare lo scandalo degli scandali: il dolore. E, per farlo dobbiamo contemplare scandalosamente come il Dio cristiano abbraccia la Morte”.

“Abbiamo cancellato Dio, e soprattutto Cristo, dalle nostre conversazioni d’ogni giorno – ha concluso Meluzzi -. Ciò è segno che abbiamo a che fare con un Dio ‘politicamente scorretto’ e di un Cristo che continua a ‘scandalizzare’. L’essenza della nostra fede , in fondo, è proprio questo”.