L’Europa rischia di implodere dinnanzi alla tragedia dei profughi che scappano dalle violenze e dalla guerra. Le parole del Papa pronunciate all’Angelus hanno ancora una volta richiamato alle loro responsabilità tutti i governi europei che, tra una riunione e l’altra, sprofondano sempre di più in un egoismo politico e sociale senza precedenti. L’attenzione resta puntata su un incontro importante e decisivo. L’8 marzo potrebbe essere, infatti, un giorno risolutivo per l'Europa. La Commissione europea, guidata da Jean-Claude Juncker, presenterà il nuovo piano per la crisi dei migranti. Un estremo tentativo di salvare Schengen e di evitare l'implosione dell’Ue. Lo spirito dei suoi fondatori è stato purtroppo riposto in soffitta, come se guardare avanti imponga tagliare le radici con lo spirito iniziale che ha consentito di unire l’Europa. Questo vecchio continente, così attento ai diritti civili di chi vorrebbe sostituirsi alla famiglia naturale, esponendo all’incertezza il futuro dell’umanità, sta perdendo la sua anima. Non si può nascondere che la tragedia dei profughi metta in primo piano il valore dei diritti umani. La dottrina sociale della Chiesa così recita al punto 152: “Il movimento verso l'identificazione e la proclamazione dei diritti dell'uomo è uno dei più rilevanti sforzi per rispondere efficacemente alle esigenze imprescindibili della dignità umana”. Il Magistero della Chiesa non ha mai in realtà mancato di valutare positivamente la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, proclamata dalle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948. Singolare, in proposito, la definizione di San Giovanni Paolo II: “Una vera pietra miliare sulla via del progresso morale dell’umanità”. Cosa significa a questo punto essere in Europa, se la Grecia, così come è stato sempre per l’Italia, dinnanzi all’arrivo di migliaia e migliaia di persone in difficoltà, viene lasciata al suo destino e con essa la dignità umana di intere generazioni? La cosa non va sottovalutata, perché nasconde tutti i fattori necessari per aprire uno sfaldamento pericoloso, all’interno del progetto politico che mira alla formazione degli Stati Uniti d’Europa. Una cosa è effettuare dei controlli accurati delle persone che arrivano da luoghi attraversati da violenze inaudite; un’altra è innalzare muri e fili spinati, impedendo il libero passaggio di bambini, donne e uomini disperati. Non dobbiamo dimenticare che la libertà di circolazione e soggiorno delle persone, all'interno dell’UE, costituisce la pietra angolare della cittadinanza dell'Unione, introdotta dal trattato di Maastricht nel 1992. Una misura di grande impatto sociale, culturale ed economico che ha portato la graduale abolizione delle frontiere interne in virtù degli accordi di Schengen. Paradossalmente, proprio per chi ha raggiunto un minimo di serenità in casa propria, dopo anni di sofferenze e di privazioni, sembra difficile assimilare lo stato di disagio altrui, quasi a temere di perdere quanto conquistato. Un modello di conservazione che incontra in prima battuta il favore della collettività locale, ma che non porterà molto lontano. Lo stesso concetto di nazione ha un senso, se all’interno di una comunità si lavori per costruire un processo territoriale, culturale e produttivo, aperto ogni giorno alla pluralità del mondo intero. Ancora una volta papa Francesco, quale guida spirituale del popolo cristiano e riferimento morale per ogni altro uomo di buona volontà, ha dettato l’azione di fondo su cui sviluppare in piena autonomia politica “una risposta corale europea” e una “distribuzione dei pesi”, per meglio equilibrare e reggere un fenomeno così massiccio e straordinario. La richiesta di una preghiera per la Grecia è stato anche un forte atto d'accusa per i tanti Paesi dell’Ue, indifferenti o ostili davanti alla tragedia dei migranti. Lo sforzo dei Paesi in prima linea che prestano un soccorso generoso hanno bisogno, secondo il Santo Padre, di una collaborazione reale di tutte le nazioni, indicando con chiarezza le modalità da mettere subito in atto: “Occorre puntare con decisione e senza riserve sui negoziati”. Se la dichiarazione di Angela Merkel: “Non abbiamo tenuto la Grecia nell'euro per poi piantarla ora in asso. Questa non è la mia Europa”, avesse un fondamento di verità, i prossimi giorni dovrebbero portare dei risultati concreti, al di là delle dichiarazioni e dei buoni propositi che riempiono i giornali e le TV. Intanto migliaia di persone sono bloccate al campo Idomeni, nella frontiera nord della Grecia con la Macedonia, dal momento che i responsabili di frontiera macedoni hanno consentito il passaggio di appena 300 rifugiati. La questione rischia di aggravarsi dal momento che Slovenia e Croazia, oltre che la Serbia e la Macedonia, hanno imposto un limite giornaliero agli ingressi di 580 migranti. Un dispositivo che si adegua alle misure adottate dall’Austria che ha introdotto un tetto giornaliero di ottanta richiedenti asilo, per un massimo di soli 3.200 migranti. Tra quote e muri, simboli tangibili di vecchi e brutti ricordi, tra qualche giorno sarà impossibile gestire il flusso che, aumentando sempre di più, dovrà fermarsi dinnanzi alla chiusura dei Paesi confinanti con lo stato Ellenico. Ma qualcuno ha immaginato cosa potrà succedere? Per quanto tempo si può tenere la testa celata sotto la sabbia? La cosa grave sta nel fatto che ogni governo decide per conto proprio. Dov’è l’Europa? Dove sta andando? Su una questione che interessa la dignità e diritti fondamentali di un numero impressionante di persone, si può decidere in ordine sparso? L’otto marzo la Comunità Europea avrà l’occasione di ritrovare la sua anima, senza la quale si rischia di minare ogni percorso di pace e di progresso fino ad oggi messo al sicuro. Che le parole del Papa siano prese in seria considerazione!
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