di padre José Antonio Pérez, ssp*
ROMA, lunedì, 26 novembre 2012 (ZENIT.org) - Lo scorso mese di ottobre si è svolta la XIII Assemblea Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, sul tema: “La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana”. Già da alcuni anni l’espressione “nuova evangelizzazione” risulta familiare ai credenti, soprattutto da quando il beato Giovanni Paolo II iniziò a usarla ripetutamente.
La convocazione del Sinodo all’insegna di questo tema, infatti, non è altro che uno dei frutti concreti del bisogno sentito da tempo dal Popolo di Dio, un tentativo di risposta alle attuali sfide sollevate dall’agnosticismo e dall’indifferenza religiosa.
“Perché la media europea dei cattolici praticanti è passata da oltre il 70 % nella prima metà del XX secolo, a meno del 10 % all’alba del nuovo millennio? Perché computiamo più funerali che battesimi? Perché l’Europa corre il pericolo di diventare un continente postcristiano?”, si domandava Robert Cheaib qualche mese fa sull’edizione di Zenit del 22 settembre 2012.
Certamente bisogna tener conto della complessità degli elementi che hanno portato all’attuale situazione. Questa realtà richiede ai cristiani una seria autocritica che non deve finire, però, nel pessimismo, ma piuttosto deve puntare a risollevare la fede verso un’efficace coscienza del mandato all’evangelizzazione che ogni cristiano ha ricevuto.
Una fede che diventa evangelizzazione
Nasce quindi spontanea l’esigenza di una “nuova evangelizzazione” che non può essere soltanto una bella parola, una moda, e neppure un’ondata d’entusiasmo che passa senza lasciare traccia. Essa deve andare a fondo di quanto bisognerebbe fare, cambiare e recuperare oggi per un annuncio efficace del Vangelo.
“Il mondo ha bisogno di una nuova, lunga e profonda evangelizzazione”. Questa frase, che sembra detta da uno dei partecipanti al recente Sinodo, è stata scritta invece dal beato Giacomo Alberione nel lontano 1926. Egli affermava nel 1950: “L’apostolato è il fiore di una vera carità verso Dio e verso le anime... Suppone un cuore acceso, che non può contenere e comprimere l’interno fuoco: perciò si espande ed esplica in tutte le forme che sono conformi alla Chiesa…”.
Certo, ci troviamo di fronte a un’impresa grandiosa, che vede coinvolti tutti, che “non è affare da dilettanti, ma da veri apostoli”. “Oggi il gran mondo, la gioventù, la classe dirigente – costatava Don Alberione – ricevono ogni giorno altre dottrine, ascoltano altre teorie alla radio, assistono ad ogni spettacolo del cinema, della televisione… per lo più amorale o immorale. Il prete predica ad un piccolo gregge, con chiese quasi vuote in molte regioni… Ci lasciano i templi, quando ce li lasciano, e si prendono le anime”.
Nel 1960, don Alberione dichiarava: “La stampa, il cinematografo, la radio, la televisione costituiscono oggi le più urgenti, rapide ed efficaci opere dell’apostolato cattolico. Può essere che i tempi ci riservino altri mezzi migliori. Ma al presente pare che il cuore dell’apostolo non possa desiderare di meglio per donare Dio alle anime e le anime a Dio”.
La sfida della comunicazione
Il recente Sinodo ha riconosciuto ancora una volta che l’uso di mezzi di comunicazione sociale hanno un ruolo fondamentale per raggiungere ogni persona con il messaggio della salvezza, e insiste nella necessità di una adeguata formazione. “In questo campo – si legge nella Propositione n. 18 - specialmente nel mondo di comunicazioni elettroniche, è necessario che cristiani convinti vengano formati, preparati e resi capaci a trasmettere fedelmente il contenuto della fede e della morale cristiana. Devono avere la capacità di utilizzare bene le lingue e gli strumenti di oggi che sono disponibili per la comunicazione nel villaggio globale. L’educazione ad un utilizzo razionale e costruttivo dei mezzi di comunicazione sociali è uno strumento importante per la nuova evangelizzazione”.
La apertura ai segni dei tempi fece di Don Alberione un vero profeta in vari campi della vita della Chiesa (il ruolo della donna e dei laici nella Chiesa, la crisi di fede e di pratica religiosa, la crisi vocazionale, la necessità di riportare la Parola di Dio al centro della vita cristiana…). Ma in modo particolare lo aprì ai mezzi più celeri ed efficaci per l’evangelizzazione. Convinto della necessità di “salvare gli uomini di oggi con i mezzi di oggi”, adottò la comunicazione di ogni tempo con la convergenza delle diverse forme di apostolato della sua Famiglia religiosa.
Lo riconosce apertamente Paolo VI quando affermò nel 1969: “Eccolo: umile, silenzioso, instancabile, sempre vigile, sempre raccolto nei suoi pensieri, che corrono della preghiera all’opera, sempre intento a scrutare i segni dei tempi, cioè le più geniali forme di arrivare alle anime. Il nostro Don Alberione ha dato alla Chiesa nuovi strumenti per esprimersi, nuovi mezzi per dare vigore e ampiezza al suo apostolato, nuova capacità e nuova coscienza della validità e delle possibilità della sua missione nel mondo moderno e con i mezzi moderni”.
Non semplice sussidio, ma vera evangelizzazione
Nella linea di pensiero del Magistero odierno, è quanto mai attuale l’intuizione del Fondatore della Famiglia Paolina quando parla della “predicazione scritta accanto alla predicazione orale”, che si traduce nell’usare la comunicazione non come un semplice ‘mezzo’, ma come “una nuova forma di evangelizzazione”.
Come ha affermato Benedetto XVI, “non cambia solo il modo di comunicare, ma la comunicazione stessa”; e quindi il Papa invita non solo “ad esprimere il messaggio evangelico nel linguaggio di oggi”, ma anche a “pensare il rapporto tra la fede, la vita della Chiesa e i mutamenti” attuali.
È, in sostanza, la grande intuizione del beato Giacomo Alberione: la “preoccupazione pastorale” della comunicazione, intesa non solo come uno dei diversi modi di realizzare la pastorale, ma come “nuova evangelizzazione” integrale, di cui il mondo ha oggi, più che mai, urgente necessità: “Il mondo ha bisogno d’una nuova, lunga e profonda evangelizzazione”. Non solo nuova, ma anche lunga e profonda.
* Postulatore generale della Famiglia Paolina