Sembra che la domanda sia diventata un tabù, eppure tutti se lo dovrebbero chiedere. Ma non c’è tempo per chiederselo dato che media, politici, personaggi di spicco hanno già preparato le loro risposte preconfezionate.

Non importa chiedersi perché il 20 giugno scorso un milione di persone siano scese in piazza e continuano a fare informazione, a manifestare, a stimolare la classe politica. Non importa chiederselo perché è ovvio: sono dei retrogradi contro i diritti, gli è stato pagato il viaggio da qualcuno, ecc.

La modernità ci ha già abituato a questo tipo di spiegazioni: tutto si riduce o al fatto che una parte del popolo è ignorante perché deve essere ancora rieducata oppure alla difesa di privilegi e interessi economici più o meno occulti.

Dalla Rivoluzione francese al Sessantotto la strategia è la stessa. Bisogna rieducare il popolo offuscato dai poteri “tradizionali” (fra cui la Chiesa è sempre quella più colpevole e perciò vittima delle maggiori persecuzioni) e affermare che ogni contrapposizione è sempre dovuta all’interesse di chi vuole mantenere certi privilegi economici.

Non è un caso perciò che in pochi si pongano la domanda: perché siamo scesi in piazza a nostre spese, sotto la pioggia, facendo ore di pullman, ammassati in una metropolitana? Mi è allora tornato in mente un passo del Signore degli anelli di J.R.R. Tolkien molto significativo perché - non a caso - senza questa motivazione tutta la narrazione avrebbe avuto uno sviluppo diverso.

I protagonisti hanno l’Anello del potere, forgiato e ora desiderato da Sauron, perché così potrà conquistare il mondo. Ma la missione della Compagnia dell’Anello non è usarlo contro il Nemico, ma distruggerlo. Questo non può essere compreso da Sauron, perché “l’unica misura che conosce è il desiderio, desiderio di potere, ed egli giudica tutti i cuori alla stessa stregua. La sua mente non accetterebbe mai il pensiero che qualcuno possa rifiutare il tanto bramato potere, o che, possedendo l'Anello, voglia distruggerlo. Questa dev’esser dunque la nostra mira, se vogliamo confondere i suoi calcoli”.

Ovviamente con le dovute differenze possiamo riflettere su questo passo. Il mondo moderno porta il ragionamento sul piano dei diritti, dei poteri, dei desideri. Il discorso è portato sulla divisione, edizione aggiornata della lotta di classe: considerare una legge ingiusta sarebbe essere contro qualcuno. Frodo riesce a passare inosservato perché il Nemico non comprende che qualcuno possa voler distruggere il potere dell’anello.

Il mondo, quindi, liquida come irrilevante massa di bigotti un milione di persone in piazza a proprie spese, quando i politici non riescono neppure a portare a gratis la metà dei cittadini a votare.

Perché siamo scesi in piazza? Le categorie sono diverse e non conviene talvolta farsi trascinare in quelle dell’interlocutore che vorrebbe rinchiuderci nella logica del successo, dei diritti, della mera uguaglianza formale, del desiderio, dell’interesse economico. In molti casi anche chi, potendo venire e condividendo le motivazioni, non è venuto si è probabilmente fatto abbarbicare da queste considerazioni.

Essere in piazza era necessario perché, sempre citando dallo stesso passo “è saggezza riconoscere la necessità quando tutte le altre vie sono state soppesate, benché possa sembrare follia a chi si appiglia a false speranze”. È necessario contrapporsi alle leggi ingiuste, anche senza numeri in parlamento, anche se ciò può sembrare follia. È necessario non per una questione economica o di diritti, anche se qui hanno rilevanza comunque i sempre dimenticati diritti dei bambini, è necessario per Amore, perché “difendere la verità, proporla con umiltà e convinzione e testimoniarla nella vita sono pertanto forme esigenti e insostituibili di carità” (Caritas in veritate, 1).

Contrastare il gender non è mancare di rispetto a qualcuno o rifiutare il dialogo, ma è semplicemente amare l’Uomo in generale e quella persona concreta che ti sta davanti: quella persona indifferente a cui non importa, quella persona che ha una visione del mondo opposta alla tua. Sì, è amare quelle persone anche se ci devi discutere. Forse la bellezza della differenza sessuale non è fatta per quelle persone? Forse queste vivono in un altro mondo dove non esiste la bellezza della collaborazione dell’uomo alla creazione con l’atto generativo?

Se adesso siamo a questo punto è proprio per la mancanza di trasmissione della Verità. Quella falsa accortezza di “lasciare che i figli facciano la propria scelta” ha fatto sì che i media, il potere scegliessero per loro. È un atto di amore raccontare ai propri figli, al nostro prossimo come stanno le cose. La fede in ciò che viene trasmesso scaturisce dall’amore di colui che ti trasmette. Nascondere la verità per politically correct è mancanza di amore e piano piano porta a dover “sguainare le spade per dimostrare che le foglie sono verdi d’estate” (G.K. Chesterton, Eretici). Il popolo del 20 giugno è sceso in piazza per qualcosa che appartiene a tutti, anche a chi non è d’accordo, per difendere la bellezza di “questo immenso, impossibile universo che ci fissa in volto”.