CITTA' DEL VATICANO, giovedì, 4 novembre 2010 (ZENIT.org).- Il magistero di Benedetto XVI è ricco e fonte di continuo rinnovamento culturale e spirituale. Per la pastorale del lavoro il Santo Padre è un naturale riferimento, considerato che nel solco del magistero dei suoi predecessori, ha affrontato in diverse occasioni i temi del lavoro. Partiamo dal Discorso ai rappresentanti delle Acli il 27 gennaio 2006 in occasione del 60mo Anniversario della fondazione.

La priorità dell’uomo sul lavoro afferma la supremazia dell’essere sull’avere. Una visione controcorrente rispetto alla mentalità economica contemporanea, che Benedetto XVI ha riaffermato con forza, allargandola al primato del “lavoro sul capitale” e “della destinazione universale dei beni sul diritto alla proprietà privata”, con quello che ha definito “un inedito risvolto” sociale di fondamentale importanza per la nostra epoca ipertecnologica, la difesa della vita:

«Viviamo un tempo in cui la scienza e la tecnica offrono possibilità straordinarie per migliorare l’esistenza di tutti. Ma un uso distorto di questo potere può provocare gravi e irreparabili minacce per il destino della vita stessa… La tutela della vita dal concepimento al suo termine naturale, e ovunque questa sia minacciata, offesa o calpestata, è il primo dovere in cui si esprime un’autentica etica della responsabilità, che si estende coerentemente a tutte le altre forme di povertà, di ingiustizia e di esclusione».

Una seconda riflessione tratta dal ricco magistero del Pontefice è tratta dall’Omelia in occasione della solennità di San Giuseppe, il 19 marzo 2006.

«Il lavoro – ha affermato Benedetto XVI – riveste primaria importanza per la realizzazione dell’uomo e per lo sviluppo della società, e per questo occorre che esso sia sempre organizzato e svolto nel pieno rispetto dell’umana dignità e al servizio del bene comune. Al tempo stesso, è indispensabile che l’uomo non si lasci asservire dal lavoro, che non lo idolatri, pretendendo di trovare in esso il senso ultimo e definitivo della vita».

C’è poi una parola di Benedetto XVI, durante il suo viaggio a Parigi e a Lourdes, che si distacca dalle altre e brilla come motivo di illuminazione. È stato quando, nell’Incontro con il mondo della cultura al collegio dei Bernardins, dinanzi al mondo culturale francese, a due ex Presidenti della Repubblica e ai musulmani che vi erano stati invitati, è passato dal discorso sulla preghiera (“ora”) a quello sul lavoro (“labora”); e per dire quanto il monachesimo era stato innovativo, ha ricordato da dove veniamo: veniamo da una cultura, da una società, da una storia nella quale il lavoro era considerato spregevole ed era addossato esclusivamente ai servi, agli schiavi. Ha detto il Papa: «Nel mondo greco il lavoro fisico era considerato l’opera dei servi. Il saggio, l’uomo veramente libero, si consacrava unicamente alle cose spirituali». Dunque c’erano due categorie di esseri umani: l’una fatta per le cose fisiche, l’altra per quelle spirituali. Questo era il “logos” greco, percezione razionale della realtà umana.

«Ben diverso il Dio cristiano: Egli, l’Uno, il vero e unico Dio, è anche il Creatore. Dio lavora; continua a lavorare nella e sulla storia degli uomini. In Cristo Egli entra come Persona nel lavoro faticoso della storia. “Il Padre mio opera sempre e anch’io opero”. Dio stesso è il Creatore del mondo, e la creazione non è ancora finita. Dio lavora, ergázetai. Così il lavorare degli uomini doveva apparire come un’espressione particolare della loro somiglianza con Dio e l’uomo, in questo modo, ha facoltà e può partecipare all’operare di Dio nella creazione del mondo».

E’significativo che il Papa, che è un gran sostenitore della radice greca del cristianesimo, metta a nudo il limite dell’antropologia greca che viene superato dalla grande sintesi cristiana.

Infine l’ultimo spunto lo traggo dal Discorso ai Dirigenti della CISL del 31 gennaio 2009 in occasione del 60mo Anniversario della fondazione. è una citazione che ha un grande pregio. Ci dimostra come Benedetto XVI sia il Papa della continuità e sia l’esegeta del suo predecessore.

«Nel pieno rispetto della legittima autonomia di ogni istituzione, la Chiesa, esperta in umanità, non si stanca di offrire il contributo del suo insegnamento e della sua esperienza a coloro che intendono servire la causa dell’uomo, del lavoro e del progresso, della giustizia sociale e della pace. La sua attenzione alle problematiche sociali è cresciuta nel corso dell’ultimo secolo. Proprio per questo, i miei venerati Predecessori, attenti ai segni dei tempi, non hanno mancato di fornire opportune indicazioni ai credenti e agli uomini di buona volontà, illuminandoli nel loro impegno per la salvaguardia della dignità dell’uomo e le reali esigenze della società.

All’alba del XX secolo, con l’Enciclica Rerum novarum, il Papa Leone XIII fece una difesa accorata dell’inalienabile dignità dei lavoratori. Gli orientamenti ideali, contenuti in tale documento, contribuirono a rafforzare l’animazione cristiana della vita sociale; e questo si tradusse, tra l’altro, nella nascita e nel consolidarsi di non poche iniziative di interesse civile, come i centri di studi sociali, le società operaie, le cooperative e i sindacati. Si verificò pure un impulso notevole verso una legislazione del lavoro rispettosa delle legittime attese degli operai, specialmente delle donne e dei minori, e si ebbe anche un sensibile miglioramento dei salari e delle stesse condizioni di lavoro. Di questa Enciclica, che ha avuto “il privilegio” di essere commemorata da vari successivi documenti pontifici, Giovanni Paolo II ha voluto solennizzare il centesimo anniversario pubblicando l’Enciclica Centesimus annus, nella quale osserva che la dottrina sociale della Chiesa, specialmente in questo nostro periodo storico, considera l’uomo inserito nella complessa rete di relazioni che è tipica delle società moderne. Le scienze umane, per parte loro, contribuiscono a metterlo in grado di capire sempre meglio se stesso, in quanto essere sociale. “Soltanto la fede, però, – nota il mio venerato Predecessore – gli rivela pienamente la sua identità vera, e proprio da essa prende avvio la dottrina sociale della Chiesa, la quale, avvalendosi di tutti gli apporti delle scienze e della filosofia, si propone di assistere l’uomo nel cammino della salvezza” (n. 54)…

C’è un altro elemento che ritorna frequentemente nel magistero dei Papi del Novecento ed è il richiamo alla solidarietà ed alla responsabilità. Per superare la crisi economica e sociale che stiamo vivendo, sappiamo che occorre uno sforzo libero e responsabile da parte di tutti; è necessario, cioè, superare gli interessi particolaristici e di settore, così da affrontare insieme ed uniti le difficoltà che investono ogni ambito della società, in modo speciale il mondo del lavoro. Mai come oggi si avverte una tale urgenza; le difficoltà che travagliano il mondo del lavoro spingono ad una effettiva e più serrata concertazione tra le molteplici e diverse componenti della società. Il richiamo alla collaborazione trova significativi riferimenti anche nella Bibbia. Ad esempio, nel libro del Qoèlet leggiamo: “Meglio essere in due che uno solo, perché otterranno migliore compenso per la loro fatica. Infatti, se cadono, l’uno rialza l’altro. Guai invece a chi è solo: se cade, non ha nessuno che lo rialzi” (4,9-10). L’auspicio è quindi che dall’attuale crisi mondiale scaturisca la volontà comune di dar vita a una nuova cultura della solidarietà e della partecipazione responsabile, condizioni indispensabili per costruire insieme l’avvenire del nostro pianeta».

Sono parole che costituiscono davvero luce per i nostri passi e per i l nostro impegno di evangelizzazione del mondo del lavoro.

In questo contesto credo sia necessario un invito a contemplare la speranza. Sì, perché pur vivendo in momenti di profonda crisi, non solo economica, nel nostro Paese, in Europa e nel Mondo, come cristiani siamo chiamati dalla Parola del Signore a risollevarci e ad alzare il capo (cfr Lc 21,28).

«Consapevoli dei segni di speranza presenti nel nostro tempo, rafforziamo il senso di responsabilità e la volontà di operare per lo sviluppo di tutti gli uomini e di tutto l’uomo, per le generazioni future, senza trascurare nessuna delle energie che possono contribuire a farci crescere insieme. La speranza cristiana comporta il dovere di abbattere muri, sciogliere catene, aprire strade nuove, anche mediante la promozione e la tutela dei diritti fondamentali di ogni persona, incluso lo straniero. Per quanto riguarda in particolare l’Italia, nell’ottica della promozione del bene comune, esortiamo ad affrontare con sapienza e coraggio la questione demografica, i problemi e le risorse dell’immigrazione, le sfide della questione giovanile. È parimenti necessario evidenziare la centralità della persona nelle scelte economiche e il senso di responsabilità nei confronti del lavoro, far sì che si dispieghi fattivamente il ruolo sociale della famiglia, contrastare il dilagare dell’illegalità, farsi carico delle future generazioni con una doverosa cura del creato, superare i divari interni al Paese, aiutandolo ad aprirsi agli orizzonti della pace e dello sviluppo mondiale, sfruttando le opportunità positive della globalizzazione e promuovendo un ordine più giusto tra gli Stati.

In questo cantiere aperto il contributo dei credenti, sul piano etico e spirituale, culturale, economico e politico è essenziale per concorrere ad orientare il cammino dell’umanità. Sappiamo bene che non ci sono soluzioni a buon mercato o scorciatoie che sollevino dalla fatica e cancellino lo smarrimento. Di ciò è segno anche il crescente numero dei cristiani martirizzati.

Questo è il nostro programma: vivere fino in fondo la Pasqua di Gesù. Da essa deriva una forza profetica dalla quale noi per primi dobbiamo continuamente lasciarci plasmare. Il nostro unico interesse è infatti metterci a servizio dell’uomo perché l’amore di Dio possa manifestarsi in tutto il suo splendore» (Rigenerati, 19).

Concludo con un pensiero, straordinariamente attuale sulla crisi e il nostro impegno, tratto dai Discorsi di Sant’Agostino: «Voi dite: I tempi sono cattivi; i tempi sono pesanti; i tempi sono difficili. Vivete bene, e muterete i tempi» (311,8).

I tempi sono cattivi o sono gli uomini a non essere all’altezza dei tempi?

Viviamo bene la nostra fede ogni giorno e allora i tempi saranno migliori.





----------

*Mons. Angelo Casile è Direttore dell'Ufficio Nazionale per la Pastorale Sociale e del Lavoro della Conferenza Episcopale Italiana.