Un personaggio carismatico, amato anche dai non credenti, che sta indubbiamente tracciando dei cambiamenti epocali, pur portati avanti con la prudenza che caratterizza gli uomini di Chiesa.

Intervistato da ZENIT, il vaticanista di Repubblica, Marco Ansaldo, ha ritenuto papa Francesco l’uomo ideale per un dialogo con il mondo laico e con la cultura “di sinistra”, sebbene, a suo avviso, sia una forzatura assurda definirlo “comunista”.

Partiamo dall’antefatto: quali sono state, secondo lei, le vere motivazioni della rinuncia di Benedetto XVI?

È un questione affascinante e complessa. Non ho mai pensato che le sue dimissioni siano state dovute, come è stato detto, ad una semplice ragione di età e di salute, che pure hanno inciso. Per me c’è ben altro e sarebbe bello capirlo e scoprirlo. Le polemiche a livello internazionale intorno al Vaticano, in parte dovute alla questione della pedofilia – che pure lui ha molto contrastato - sono state assai pesanti e lo hanno amareggiato. Anche il caso Vatileaks ha inciso tantissimo e il fatto stesso che il Papa si fosse trovato isolato nel suo appartamento pontificio, sganciato completamente dall’amministrazione della Santa Sede, ha dato la misura della separazione tra il Papa e la guida concreta della Chiesa. Tutto questo, compreso il processo al maggiordomo, è stato assai determinante.

Circa un mese dopo la rinuncia di papa Ratzinger, è arrivato un pontefice argentino che, in pochissimo tempo, ha guadagnato una grandissima popolarità, anche tra i non cattolici. Come si spiega questo fenomeno?

Non si sarebbe arrivati a Bergoglio se non ci fosse stato il gesto clamoroso della rinuncia di Ratzinger, con tutto il travaglio personale, teologico, etico ed istituzionale che quest’ultimo ha patito. Da parte sua Francesco ha rappresentato una ventata di freschezza che ha travolto non solo i fedeli ma anche gli atei e la gente che si era allontanata dalla fede e che ora guarda alla Chiesa con sempre più attenzione, cogliendo la novità della persona del Papa e di ciò che sta mettendo in campo. Questa percezione è stata colta ed è un elemento decisivo nella popolarità di papa Bergoglio. Lui quindi non piace solo alle folle di fedeli che lo acclamano a San Pietro durante l’Udienza del Mercoledì, la domenica all’Angelus, nei viaggi che fa in Italia e all’estero, battendo ogni record. Francesco piace anche agli atei e agli agnostici che, non a caso, dichiarano con molta evidenza di guardare con attenzione a tutto il pontificato. Tutto questo è un capitale che il pontificato di Francesco sta accumulando con molta forza e molta determinazione fin dall’inizio.

Si parla di cambiamenti assai significativi, forse non solo pastorali, che papa Francesco potrebbe introdurre, in particolare nella dottrina familiare e matrimoniale…

Secondo me, in questo campo, Francesco sta saggiando il terreno. Nell’amministrazione e nei rapporti con i fedeli, i cambiamenti sono già forti e significativi. La mia idea è che voglia apportare cambiamenti anche nella dottrina, tuttavia farlo non è semplice. C’è di mezzo anche il suo non semplice rapporto non semplice con la Curia: quando pronuncia frasi come “noi sacerdoti siamo difficili” o quando parla di persone che vestono la porpora e viaggiano in auto blindate, denuncia una separatezza tra una Chiesa “povera per i poveri” ed una Chiesa che è rimasta quella dei “cardinali principi”.

Il Sinodo dello scorso ottobre è stato molto importante, con un braccio di ferro formidabile che sta durando ancora adesso e che forse terminerà soltanto all’assemblea ordinaria del prossimo ottobre, con probabili cambiamenti della pastorale familiare, dalla comunione ai divorziati risposati all’apertura agli omosessuali. Di arrivare a toccare questioni dottrinali come il celibato per i preti, a mio avviso Francesco ci sta pensando ma sono passi che vuole arrivare a compiere senza troppi strappi.

Un altro tema delicato è la riforma della Curia, in particolare nelle sue strutture finanziarie. Riuscirà il Santo Padre in questa operazione?

Molti si augurano che il Papa ce la faccia. Le riforme economiche sono un campo in cui Benedetto è stato sconfitto; sono rimaste incompiute e, di fatto, sono state frenate dalle diatribe. Lì c’è stato più che un passo indietro e Benedetto si è trovato in grande difficoltà. Lo IOR si è trovato per l’ennesima volta nel vortice delle polemiche e solo adesso inizia ad intravedersi una strada di maggiore chiarezza che tutti i fedeli e ed osservatori si attendono dall’istituto vaticano. Credo che il Papa voglia riuscire anche in questo campo ma è evidente che sta trovando delle difficoltà anche in alcune persone di cui si fidava. Ha puntato molto su alcuni di cui, però, forse, strada facendo, si sta sentendo sempre meno convinto. Anche qui siamo in mezzo al guado.

Che senso hanno, a suo avviso, le accuse di “socialismo” o, addirittura, di “leninismo” che arrivano contro il Papa, in particolare da ambienti d’oltreoceano legati all’alta finanza?

C’è un fatto molto importante di cui dobbiamo tenere conto: Bergoglio, votato anche da molti cardinali americani che lo hanno chiaramente sponsorizzato, si è probabilmente spinto più in là di quello che loro stessi credevano. Pensavano di aver scelto un papa liberale ed aperto ma non fino a questo punto. Invece a Bergoglio fare il papa piace: in questo ruolo si sente veramente libero, a differenza di quando era arcivescovo di Buenos Aires. Chi dice che sia un Papa “socialista” o addirittura “comunista”, dice una colossale fesseria… Bergoglio è un papa latinoamericano, quindi, nei confronti delle questioni sociali ha una sensibilità molto particolare e spiccata. È per questo che piace ai laici e alla sinistra. È un papa che pone al centro determinate questioni e possiamo dire che oggi, più della Merkel, di Obama e di tanti altri, si ponga come leader globale.

Che significato hanno, a suo parere, l’amicizia, il carteggio e le interviste tra papa Francesco ed Eugenio Scalfari, fondatore del quotidiano per cui lei scrive?

Ricordo che sei anni fa, quando ho iniziato a fare il vaticanista, molti cardinali a cui mi presentavo tendevano a identificare La Repubblica come un giornale “comunista”. C’era quindi un gap tra due mondi, quello dei quotidiani, dove si misurano le cose con il passo del “domani”, e quello della Chiesa, che ha il passo dei secoli, un passo che medita sui tempi. Francesco ha segnato una rottura anche in questo ed è una rottura felice perché ha sgombrato il campo da appartenenze ideologiche che non hanno più ragione di essere. Il Papa si è avvicinato ad un settore importante, interessato ed attento come quello dei non credenti, rappresentato in questo caso dal fondatore di Repubblica, Eugenio Scalfari. E qui i due uomini, dialogando da posizioni diverse, si sono ritrovati. Forse è proprio questa la missione dell’uomo: confrontarsi da posizioni magari distanti, vedendo però se possono esistere punti in comune. Credo proprio che il mondo di oggi abbia bisogno di un insegnamento del genere.