ROMA, martedì, 1 marzo 2005 (ZENIT.org).- Secondo il filosofo e teologo Francesc Torralba, “la fede e la cultura non dialogano, ma si pongono tra loro in una relazione creativa”.
Torralba i Roselló, Ordinario della Cattedra di Filosofia presso la Universidad Ramon Llull, sostiene che “considerare solo la fede come l’elemento che deve trovare il suo spazio, significa assumere un punto di partenza disfattista, perché la fede non deve trovare uno spazio nella cultura, è essa stessa che crea cultura”.
Il filosofo e teologo ha espresso queste considerazioni lo scorso sabato, al Pontificio Collegio Spagnolo di San Giuseppe di Roma, in occasione del primo incontro dell’ XI Ciclo Fede e Cultura, che si svolge ogni anno in questo periodo.
“La fede è espansiva”, ha indicato Francesc Torralba, che è anche direttore di ricerca presso la Cattedra Ramon Llull Blanquerna di Barcellona, ed ha avvertito che “dobbiamo superare il complesso di inferiorità e iniziare a riconoscere la fede come un motore creativo”.
Il fatto che la fede sia “un atto libero di risposta ad una chiamata interiore” colloca la fede su un piano distinto rispetto a quello della cultura, cosa che comporta una difficoltà di dialogo, secondo Torralba: “Non si dovrebbe quindi parlare di dialogo tra fede e cultura, in quanto queste sono due entità simmetriche”.
La cultura è “l’espressione dello spirito umano” e “l’espressione di un sistema di idee e credenze”, secondo le parole di Torralba i Roselló.
Il professor Torralba, sposato e padre di quattro figli, ha affermato di fronte ad un centinaio di alunni del Collegio Spagnolo, che si devono verificare talune “precondizioni” perché l’annuncio delle fede possa radicarsi nella cultura, poiché “un annuncio anche ben articolato ma dato in un contesto ostile, non potrebbe essere recepito”.
Nell’ambito di queste precondizioni ha individuato alcune opacità e taluni interstizi, e ha detto che “non sarebbe corretto vedere solo le opacità, ma sarebbe ingenua una diagnosi che non le contemplasse”.
D’altro canto, “mi sembrerebbe fatalistica una diagnosi nella quale non vi fosse la possibilità di portare l’annuncio, nella quale si pensasse che il Vangelo non possa trovare un terreno dove poter fare presa”, ha dichiarato.
“In ogni epoca si scorgono delle possibilità: non esiste né una totale opacità, né una totale trasparenza”, ha constatato, aggiungendo poi che “vedere solo le opacità talvolta può essere una scusa per non annunciare esplicitamente ciò in cui crediamo”.
Tra le opacità che impediscono alla fede di radicarsi nella cultura, ha individuato tra le altre cose la “moltiplicazione dei pregiudizi negativi rispetto all’annuncio della fede”, “la cultura dell’io”.
Tra “i pori” attraverso cui poter far permeare la fede in Gesù Cristo ha indicato “una umanità che si riconosce debole e vulnerabile e che per questo si apre al trascendente”; “il desiderio di pace dell’attuale cultura che unisce i credenti e i non credenti”; “la nostalgia della spiritualità che rivela un desiderio di Dio”.
Torralba ha concluso la sua conferenza ricordando che “quando si evangelizza la cultura, la si rende capace di dire qualcosa di significativo al mondo e di articolare la Buona Novella”.
Tra le molteplici pubblicazioni di Francesc Torralba figurano «¿Por qué creer?: la razonabilidad de la fe» (2000) e «Antropología del cuidar» (1998).
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Mar 01, 2005 00:00