Il Rettore della Pontificia Università Lateranense, Mons. Enrico dal Covolo, sta svolgendo in questi giorni la visita ufficiale ad alcuni Centri accademici del Medio Oriente collegati con la sua Università.
Traduciamo il testo dell’intervista da lui rilasciata a Tele Lumiere, la televisione cattolica del Libano.
Eccellenza, perché l’Università del Laterano è chiamata comunemente “l’Università del Papa”?
Mons. Dal Covolo: Perché è l’Università della Diocesi di Roma. Il Cardinale Vicario ne è il Gran Cancelliere, e il Rettore è nominato direttamente dal Papa. Vi si trovano quattro Facoltà (Teologia, Filosofia, Diritto canonico, Diritto civile) e due Istituti (l’Istituto Utriusque Iuris, cioè “di tutti e due i Diritti”, canonico e civile, Istituto unico al mondo nel suo genere; e l’Istituto pastorale “Redemptor hominis”). Gli studenti sono circa quattromila, i docenti più di duecentocinquanta, un centinaio i collaboratori e i tecnici. Abbiamo poi una cinquantina di Centri accademici, sparsi per tutto il mondo, a vario titolo collegati con l’Università Lateranense.
Quali sono i Centri collegati del Medio Oriente?
Mons. Dal Covolo: Sono tre. Innanzitutto la Facoltà di Diritto canonico dell’Università “La Sagesse” di Beirut è aggregata, come “Istituto superiore per l’insegnamento del Diritto canonico”, all’Istituto Utriusque Iuris del Laterano. Ciò significa che il diploma conseguito nella Facoltà di Beirut è riconosciuto come titolo di Licenza in Diritto Canonico presso l’Università Lateranense.
Ci sono poi due Centri affiliati alla Facoltà di Teologia. In realtà si tratta di un’unica affiliazione, che ha pure una sezione distaccata. Si tratta del ciclo teologico istituzionale del Seminario del Patriarcato latino di Gerusalemme, con sede a Beit Jala, nei Territori Palestinesi. La sezione distaccata è invece il Seminario missionario “Redemptoris Mater”, che si trova a Tiberiade, Galilea, in Israele.
Che tipo di rapporti avete con altre Università nel mondo?
Mons. Dal Covolo: Numerose Università sono collegate con noi attraverso una convenzione, un “accordo-quadro”, inteso a facilitare lo scambio dei professori e degli studenti; l’organizzazione condivisa di eventi, congressi, iniziative scientifiche; la promozione comune della ricerca, anche attraverso lo scambio di libri e di sussidi. È precisamente il tipo di accordo che abbiamo previsto in questi giorni con l’Università “La Sagesse” di Beirut, nella quale è collocata la Facoltà di Diritto canonico aggregata al Laterano.
Si crea così una sorta di “rete universitaria”, che è essenziale oggi, anzitutto per custodire integra l’idea stessa di Università.
Su questo tema, cioè sull’idea di Università, Lei è intervenuto più volte in questi giorni di visite ufficiali. Che cosa ha detto, in sintesi, ai professori e agli studenti dei vari Centri collegati?
Mons. Dal Covolo: Ho tentato in primo luogo di delinare a grandi tratti l’idea di Università, ispirandomi al Cardinale Newman e al Papa Benedetto XVI. In secondo luogo, ho detto che per realizzare concretamente questa idea di Università è indispensabile che la cultura della qualità divenga lo stile di vita ordinaria dell’Università stessa. Personalmente sono convinto che ogni singolo professore, studente, membro del personale non docente sia lui stesso il protagonista più efficace di questa cultura della qualità, che deve permeare la vita accademica. Infine, ho detto che, di fronte all’emergenza educativa e alla crisi globale dei valori, una risposta per uscire dalla crisi c’è, e noi l’abbiamo a portata di mano, talvolta senza neanche rendercene ben conto: la risposta è una Università che funziona bene, un luogo che sia autentica formazione di formatori. Ed è proprio qui che risiede la missione specifica delle istituzioni universitarie per la nuova evangelizzazione. A una condiziome, però: che l’Università resti fedele a se stessa, alla sua identità e alla sua missione originaria; che sia davvero luogo di promozione della cultura autentica, terreno di dialogo inesausto tra fede e ragione.
Quali indicazioni ha da lasciare ai giovani universitari del Medio Oriente, in relazione anche all’Anno della Fede e alla prossima Giornata Mondiale della Gioventù?
Mons. Dal Covolo: Bisogna che i giovani universitari cristiani del Medio Oriente siano sempre di più dei testimoni credibili della fede in Gesù Cristo. Devono dimostrare con la loro vita, piena di gioia e di speranza, che l’amicizia con Cristo dà loro una marcia in più, perché dà senso pieno alla vita.
In particolare, i giovani devono mostrare che la fede non è qualche cosa di astratto o di sentimentale o di privato. La fede cambia la vita delle persone e della società. Di fronte alla situazione esplosiva del Medio Oriente, di fronte alla terribile secolarizzazione e alla neghittosa indifferenza della vecchia Europa, la cultura e le tradizioni mediterranee devono interrogarsi seriamente. Gesù Cristo, che è nato duemila anni fa in questa stessa terra mediterranea, é il salvatore del mondo, ieri, oggi, sempre. Ebbene, i giovani cristiani del milieu mediterraneo hanno un’enorme responsabilità. Essi devono testimoniare questo fatto, che Gesù Cristo è veramente il salvatore del mondo – nella famiglia, nella scuola, nell’università, nelle parrocchie, nel lavoro, nella società... –.
L’ha detto bene il Papa nella sua Esortazione apostolica La Chiesa nel Medio Oriente, firmata proprio in Libano lo scorso settembre: “Cari giovani - ha scritto Benedetto XVI - non abbiate paura o vergogna di testimoniare l’amicizia con Gesù nella sfera familiare e pubblica...” (n° 62).
Allora – noi Vescovi possiamo dirlo, come l’abbiamo già detto al Sinodo sulla nuova evangelizzazione – i giovani non saranno più soltanto la speranza del mondo, ma il presente di un mondo più giusto, più in pace. </p>
Ecco: sulla pace in Medio Oriente, che cosa ci può dire?
Mons. Dal Covolo: Premetto subito che non sono un analista di questioni politiche, specialmente quando si tratta di questioni internazionali così intricate, come quella del Medio Oriente.
Posso riferire solo un’impressione, che ho colto dalla bocca di molte persone, anche di ecclesiastici estremamnte autorevoli. L’impressione è che qui in Medio Oriente la gente sia molto delusa (e anche irritata) dal comportamento della grandi potenze europee e atlantiche. Di fronte a ingerenze più o meno occulte (o più o meno palesi), evidentemente motivate da interessi particolari di tipo economico e di potere – ingerenze che, di fatto, finiscono per destabilizzare le istituzioni locali -; ebbene, a fronte di tali ingerenze, non esiste alcun intervento reale per la promozione della pace, e gli eccidi si consumano nell’indifferenza di chi ne risulta, di fatto, connivente e responsabile.
In Libano, grazie a Dio, ho trovato pace,tanta voglia di ricostruzione, e l’impegno di voltare decisamente pagina rispetto a quindici di una guerra, di cui nessuno sa dare il motivo.