Un lavoro di cooperazione internazionale per far fronte al problema dei residuati bellici esplosivi o di ordinanza abbandonati. Lo auspica mons. Silvano Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede presso l’Ufficio Onu di Ginevra, durante la Conferenza degli Stati firmatari della Convenzione che vieta o limita l'uso di armi convenzionali, eccessivamente dannose o con effetti indiscriminati, che risale al 1983.
Partendo dall’assunto per cui “guerre e conflitti armati sono sempre un fallimento della politica e dell’umanità”, mons. Tomasi ha osservato che “il diritto umanitario dovrebbe mantenere una dimensione umana essenziale per rendere possibile la coesistenza nazionale e internazionale”.
E “quando la comunità internazionale non riesce a preservare la pace non dovrebbe accettare un secondo fallimento”, ha ammonito il rappresentante della Santa Sede, riferendosi al rispetto del V Protocollo della Convenzione, che riguarda lo smaltimento dei residuati bellici esplosivi, adottato nel 2003. Secondo il presule si tratta di “uno sforzo modesto per evitare che persone innocenti diventino vittime a conflitto concluso”.
Aderire al rispetto di questo Protocollo è “non solo un obbligo di Legge”, ma anche un “dovere morale verso le persone e un dovere politico per riportare la pace”. Un richiamo alla responsabilità della comunità internazionale verso il problema dei residuati bellici esplosivi o di ordinanza abbandonati è rappresentato dai recenti conflitti in Medio Oriente, Nord Africa, Europa.
Per questo - sottolinea mons. Tomasi - è necessario “lo stretto rispetto” dell’articolo 4 del Protocollo che fissa “l’obbligo di fornire informazioni (inclusi avvisi alle popolazioni civili) sul tipo di munizioni impiegate o abbandonate, e sulle aree interessate”. In questo senso, se “è vero che la prima responsabilità è dello Stato interessato”, “è anche un obbligo la cooperazione internazionale”.
L’osservatore vaticano ha quindi ricordato che “la maggior parte degli attuali conflitti” coinvolgono “Paesi in via di sviluppo, che non sempre hanno sufficienti strumenti per superare le conseguenze di conflitti armati sul loro territorio”.