La Giornata Mondiale sulla sindrome di Down (WDSD-World Down Syndrome Day) è un appuntamento internazionale – sancito ufficialmente da una risoluzione dell’ONU - nato per diffondere una maggiore consapevolezza e conoscenza sulla sindrome di Down, per creare una nuova cultura della diversità e per promuovere il rispetto e l’integrazione nella società di tutte le persone con sindrome di Down.

La scelta della data 21/3 non è casuale: la sindrome di Down, conosciuta come Trisomia 21, è caratterizzata dalla presenza di un cromosoma in più – tre invece di due – nella coppia cromosomica n°21 all’interno delle cellule.

Come parte della campagna CoorDown ha prodotto e diffuso in rete un video con il titolo Dear Future Mom (Cara futura mamma). Di questo progetto internazionale CoorDown è la capofila di dieci associazioni di nove paesi diversi: Italia, Francia, Spagna, Croazia, Germania, Inghilterra, Russia, Stati Uniti e Nuova Zelanda.

Il video, realizzato dall’agenzia di pubblicità Saatchi&Saatchi, è disponibile con i sottotitoli in italiano sul sito dell’associazione http://www.coordown.it/www/ e in inglese sul canale YouTube: http://www.youtube.com/watch?v=Ju-q4OnBtNU.

Lo spot diretto da Luca Licini, tra i migliori mai visti in rete, inizia con una futura mamma che il 9 marzo ha scritto una mail: “Sto aspettando un bambino. Ho scoperto che è affetto dalla sindrome di Down. Ho paura. Che vita avrà il mio bambino?”.

A rispondere alla spaventata futura mamma, sono quindici tra bambini, bambine, ragazzi e ragazze affetti da sindrome di Down.

“Cara futura mamma, non avere paura. Il tuo bambino potrà fare molte cose. Potrà abbracciarti. Potrà correre verso di te. Potrà parlare. Potrà dirti che ti vuole bene. Sarà in grado di andare a scuola. Sarà in grado di studiare e di scriverti. Sarà in grado di andare in bicicletta e di lavorare. Sarà in grado di andare a vivere da solo, perché sarà in grado di lavorare e di avere il denaro sufficiente per invitarti a cena e vivere felicemente”.

“In alcuni momenti la vita sarà difficile, molto difficile, quasi impossibile, ma non è lo stesso per tutte le madri? Cara futura mamma, tuo figlio potrà essere felice, come lo siamo noi. Anche tu sarai felice, vero mamma?”.

Il video conclude con l’affermazione: “Le persone con la sindrome di down possono vivere un vita felice, perché ognuno ha il diritto di essere felice”. 

Tra gli sponsor del video ci sono La Fondazione “Jerome Lejeune cercher, soigner, defender”, il “Collectif Les Amis d’Elenore, trisomique… et alors!”, “Fundation Down Madrid”, la Down Syndrome Community (DSC), il “Down Syndrom Development Trust” e il “Saving Down”.

CoorDown sostiene che la felicità di un genitore passa attraverso la felicità dei figli; ma il benessere di un figlio con sindrome di Down dipende anche dall’inclusione nella società e dalla possibilità di esercitare i propri diritti: una scuola di qualità, il giusto numero di ore di sostegno, i necessari interventi riabilitativi precoci, l’opportunità di trovare un lavoro, come chiunque altro.

La Giornata Mondiale può contare sul sostegno della Lega Serie A nel corso del weekend del 15 e 16 marzo.

La campagna del CoorDown, in collaborazione con Fisdir-Federazione Italiana Sport Disabilità Intellettiva Relazionale, sarà promossa all’interno degli stadi con il consueto striscione e con il film in versione 30’’ sui maxischermi.

Benedetto XVI invita a ripensare al concetto di felicità

di Tommaso Cozzi*

ROMA, giovedì, 9 luglio 2009 (ZENIT.org).- L’enciclica “Caritas in Veritate” può apparire come un ammonimento nei confronti di soggetti ed istituzioni preposti alla gestione della “cosa comune”: governi, istituzioni finanziarie, organismi internazionali, ecc… Tali aspetti sono stati trattati da Benedetto XVI con il chiaro scopo di affrontare, tra gli altri, il tema del bene comune. Tuttavia vi sono aspetti rilevanti che riguardano l’uomo nella sua essenza ed individualità, nella sua umanità più diretta ed immediata. Tali aspetti riguardano il concetto di “felicità”.

Il mondo tecnicizzato del nostro tempo tende a far coincidere il concetto di felicità con il raggiungimento del benessere materiale attraverso la disponibilità  e l’acquisizione di beni, risorse, utilità  e servizi, e a confondere la felicità  individuale e privata con il benessere collettivo. Il diritto innegabile di tutti gli individui alla felicità  si è sempre più trasformato nell’imperativo edonistico del “dover essere felice” ad ogni costo. Quanto questa idea di felicità  sia diventata oggi uno degli assi portanti del sistema economico è sotto gli occhi di tutti, alimentando le insicurezze, le insoddisfazioni ed il senso di inferiorità  che sembrano caratterizzare l’identità  dell’uomo moderno. Per altri versi, appare evidente la dissociazione tra il crescente progresso economico ed il benessere individuale, l’aumento esponenziale di nuove forme di disagio nelle società  occidentali, nonché la bassa correlazione esistente tra vari aspetti del benessere e del malessere soggettivi e le condizioni o circostanze esterne, fortunate o sfortunate, con le quali si confronta la nostra vita.

Appare pertanto coerente quanto evidenziato nel Cap. 6 della “Caritas in Veritate” (Lo sviluppo dei popoli e la tecnica) con il contenuto del Cap. 7, par. 2 (La parabola del buon samaritano) del “Gesù di Nazaret” di Benedetto XVI laddove si legge: “L’attualità della parabola è ovvia. Se l’applichiamo alle dimensioni della società globalizzata, le popolazioni derubate e saccheggiate dell’Africa – e non solo dell’Africa – ci riguardano da vicino e ci chiamano in causa da un duplice punto di vista: perché con la nostra vicenda storica, con il nostro stile di vita, abbiamo contribuito e tuttora contribuiamo a spogliarle e perché (…) abbiamo portato loro il cinismo di un mondo senza Dio (pp. 234-236). “Si, dobbiamo dare aiuti materiali e dobbiamo esaminare il nostro genere di vita. Ma diamo sempre troppo poco se diamo solo materia. E non troviamo anche intorno a noi l’uomo spogliato e martoriato? Le vittime della droga, del traffico di persone, del turismo sessuale, persone distrutte nel loro intimo, che sono vuote pur nell’abbondanza di beni materiali”.

Parallelamente al par. 68 dell’enciclica si legge “Il tema dello sviluppo dei popoli è legato intimamente a quello dello sviluppo di ogni singolo uomo. La persona umana per sua natura è dinamicamente protesa al proprio sviluppo” . E ancora, al n. 70 “Lo sviluppo tecnologico può indurre l’idea dell’autosufficienza della tecnica stessa quando l’uomo, interrogandosi solo sul come, non considera i tanti perché dai quali è spinto ad agire”.

In sostanza Benedetto XVI si interroga e ci interroga sul senso ultimo dell’agire umano, con specifico riferimento all’utilizzo di tutti quegli strumenti, di tutti quei mezzi predisposti non solo allo sviluppo economico, ma, attraverso esso ed in conseguenza di esso, allo sviluppo dell’uomo e cioè alla sua intima felicità.

Qual è il ruolo giocato dalle imprese nell’utilizzo delle tecnologie, intese non solo in senso “meccanico”, ma anche in senso manageriale (la “tecnic” di gestione delle imprese e degli uomini)?

La moderna economia d’impresa comporta aspetti positivi, la cui radice è la libertà della persona che si esprime in campo economico come in tanti altri campi. L’economia, infatti, è una parte della multiforme attività umana e, in essa, come in ogni altro campo, vale il diritto alla libertà come il dovere di fare un uso responsabile di essa. Ma è importante notare che ci sono differenze specifiche tra queste tendenze della moderna società e quelle del passato anche recente. Se un tempo il fattore decisivo della produzione era la terra e più tardi il capitale, inteso come massa di macchinari e di beni strumentali, oggi il fattore decisivo è sempre più l’uomo stesso, e cioè la sua capacità di conoscenza che viene in luce mediante il sapere scientifico, la sua capacità di organizzazione solidale, la sua capacita di intuire e soddisfare il bisogno dell’altro, soddisfacendo al tempo stesso il suo stesso bisogno di donazione e cioè di felicità.

Non si possono, tuttavia, non denunciare i rischi ed i problemi connessi con questo tipo di processo. Di fatto, oggi molti uomini, forse la grande maggioranza, non dispongono di strumenti (tecnologie) che consentono di entrare in modo effettivo ed umanamente degno all’interno di un sistema di impresa, nel quale il lavoro occupa una posizione davvero centrale. Essi non hanno la possibilità di acquisire le conoscenze di base (tecniche e metodi dei “saperi”), che permettono di esprimere la loro creatività e di sviluppare le loro potenzialità, né di, entrare nella rete di conoscenze ed intercomunicazioni, che consentirebbe di vedere apprezzate ed utilizzate le loro qualità.

Essi insomma, se non proprio sfruttati, sono ampiamente emarginati, e lo sviluppo economico si svolge, per cosi dire, sopra la loro testa, quando non restringe addirittura gli spazi già angusti delle loro antiche economie di sussistenza. Incapaci di resistere alla concorrenza di merci prodotte in modi nuovi ed in territori emergenti (nei quali a loro volta si assiste all’esasperante abuso delle tecnologie a tutto discapito dell’umanizzazione del lavoro), che prima essi solevano fronteggiare con forme organizzative tradizionali, allettati dallo splendore di un’opulenza ostentata ma per loro irraggiungibile e, al tempo stesso, stretti dalla necessità, questi uomini affollano le città del Terzo Mondo, dove spesso sono culturalmente sradicati e si trovano in situazioni di violenta precarietà senza possibilità di integrazione.

Cosa fare in concreto traendo spunto dalla “Caritas in Veritate”?

Già la Centesimus Annus indicava delle vie, peraltro condivise da quanti propongono una visione umanizzante dei processi economici (cfr A. Sen): fissare obiettivi che siano simultaneamente di valore economico e di valore antropologico, ma che siano, soprattutto, concretamente realizzabili. In altri termini gli obiettivi, affinché siano veri e carismatici (cioè significativi nel fine ultimo e “donanti”, più che “facenti”), dovranno essere, nel futuro più prossimo ed immediato, pianificati in termini di risultato economico e di significato umano e che non siano irraggiungibili. Si propone, insomma, una sorta di “contratto implicito nell’umanità e per l’umanità”.

* Il prof. Tommaso Cozzi è docente di Economia e Gestione delle Imprese presso l’Università di Bari.