Bastano pochi giorni per mandare in fumo le aspettative di “buon anno” per il quale si è allegramente brindato. Certamente, invece, erano queste le aspettative di chi ha votato la propria esistenza alla barbara cultura della morte, facendo precipitare il mondo civile in un baratro involutivo di secoli.
Quanto è accaduto a Parigi all’alba del nuovo anno segna di rosso il calendario, ma non certo per indicare una nuova festività, bensì un ulteriore lacerante solco, un’ennesima grave ferita nella storia degli uomini.
Ancora una volta viene calpestato e vilipeso il principio della sacralità della vita, a maggior ragione che lo si è fatto “in nome di Dio”. La vita è un Dono che ci è stato dato senza averlo chiesto: che diritto si ha di disprezzarlo? Il Comandamento del Signore, legge morale incisa nel cuore dell’uomo, è chiaro e inequivocabile: Non uccidere.
In occasione di quest’ennesima mattanza, ogni cristiano prega inorridito per le vittime e le loro famiglie ma non può non invocare altresì la misericordia di Dio per i carnefici, vittime di un sistema e di un’educazione violenta, di una forma mentis distorta dal fanatismo religioso.
Leggendo ed ascoltando, però, i vari commenti sull’attentato di Parigi, viene da riflettere sul contesto che circonda l’accaduto. La società francese - come del resto larga parte di quella “benpensante” internazionale - frutto degli esiti prodotti dal razionalismo illuminista e da allora ispirata alla Libertà, forse non si rende conto che spesso proprio quest’ultima viene male interpretata. Essa diventa espressione del relativismo e del sincretismo religioso contemporanei, che hanno prodotto pesanti forme d’intransigenza nei confronti dei segni esteriori di ogni espressione religiosa.
Ma in un simile contesto, mi chiedo, è legittimo concedersi la libertà di profanare il sacro? Posso, io, in nome della “mia” libertà, oltraggiare l’altrui, per “imporre” prepotentemente il principio della laicità? Mi è sempre stato insegnato che la propria libertà finisce laddove inizia quella del mio prossimo e che l’insulto è una grave offesa all’integrità della Persona.
Le vignette in oggetto sono proprio dissacratorie nei confronti di tutti i Credo religiosi ed io, da cattolico, mettendo al bando tutto il buonismo che tanto oggi fa moda, mi sento profondamente contrariato nel vedere ridicolizzati i canoni della mia religione, e quello che più mi disturba è l’amara constatazione che nessuno si indigna, specialmente la stessa Istituzione ecclesiastica che dovrebbe invece far sentire la sua voce senza paura di essere additata di grettezza e ottusità. Ecco perché sento il dovere di esprimere il mio disappunto e di non omologarmi all’esalante grido di massa “Je suis Charlie”, quasi nuovo mantra che celebra spasmodicamente la libertà di opinione, di espressione e di stampa.
Non ci può essere libertà senza lo splendore della verità. E’ la verità che ci rende liberi e non il contrario. Utilizzare la satira per offendere il senso ed il culto del sacro è contro ogni principio di libertà, perché si offende e ridicolizza la verità nella quale milioni di persone e cittadini credono.
Come tutti gli uomini di buona coscienza, mi auguro che accadimenti come questi non abbiano mai più a ripetersi e che il mondo possa un giorno liberarsi di tutte le forme di fanatismo che ancora oggi sviliscono la vera natura delle relazioni tra gli uomini.
Tuttavia, non mi diverte la vignetta che dissacra la Madonna proponendola a gambe aperte mentre partorisce Gesù Bambino, e m’indigna l’illustrazione “satirica”, che reputo semplicemente volgare, del Mistero della Trinità!
Questa non è satira, è vilipendio, dileggio, bestemmia e basta. La libertà di espressione non può essere tradotta in licenza di empietà e di pornografia religiosa, qualunque essa sia.
Proprio in quanto individuo libero, ritengo sia importante non vergognarsi della propria identità e dire la verità, con coraggio, anche in questo momento di orrore, consapevole che il diritto di satira finisca dove inizi il diritto di una cultura e di un popolo che meriti dignitosamente rispetto nei suoi fondamentali valori di civiltà.
Se sposare lo slogan “Je suis Charlie” significa condividere di offendere e di volgarizzare il sacro, Je ne suis pas Charlie. Spero, pertanto, che le nuove Edizioni del Charlie Hebdo e la “falange di Charlie” che è sorta dopo la grande marcia di Parigi, siano più rispettose dei valori del sacro e quindi più attente alla dignità delle persone che in essi si identificano, abbandonando la strada della blasfemia e della volgarità, ma soprattutto che nessuno, mai più, osi “spezzare le matite” in nome del rispetto.