Il Papa era atteso a Strasburgo, dove ha parlato davanti al Parlamento Europeo, non certo con diffidenza, ma sicuramente con l’auspicio che il suo discorso segnasse il superamento di un atteggiamento di diffidenza nei confronti delle istituzioni comunitarie.
Questa attitudine si era venuta manifestando da quando gli orientamenti espressi in particolare dal Parlamento di Strasburgo avevano per così dire riformulato i diritti umani, tendendo a tutelare anche quelle espressioni della sessualità che l’etica cattolica considera problematiche.
Date queste premesse, una riaffermazione dei cosiddetti “valori non negoziabili” avrebbe assunto il significato di una presa di distanza dalle tendenze legislative dell’Europa Unita.
Se per contro il Papa si fosse limitato ad affermazioni generiche, eludendo quei temi che negli ultimi anni avevano finito per costituire un oggetto del contendere, la sua visita sarebbe risultata nulla più di un atto di cortesia diplomatica.
Bergoglio doveva dunque, inevitabilmente, entrare “in medias res”, e lo ha fatto partendo da una definizione dell’Europa quale poteva essere formulata da un europeo diasporico, quale egli è per origine e per formazione intellettuale.
Le dimensioni dell’Europa, ha detto il Papa all’inizio del suo discorso, le sono state date dalla geografia, ma “più ancora dalla storia”.
E la storia testimonia di una vicenda in cui le idee proprie del nostro Continente si sono diffuse fino a ispirare le vicende di altri popoli.
Qui però il Pontefice non poteva fare a meno di cogliere un paradosso: il mondo è oggi sempre meno eurocentrico, in quanto diminuisce il potere che un tempo si concentrava nel Vecchio Continente.
Per giunta, il ricordo di questo passato, con le ingiustizie sofferte dalle altre popolazioni – tra cui anche quelle dell’America Latina – fa sì che oggi si guardi da tante parti all’Europa “con distacco, diffidenza e talvolta con sospetto”.
Per dissipare questa ostilità, occorre dunque che l’Europa ritrovi una coerenza con i principi ispiratori della sua civiltà. Civiltà, dice il Papa, che ha attribuito all’uomo una “dignità trascendente”. La dignità dell’uomo, dice Bergoglio, consiste nell’attribuirgli dei diritti, ed è appunto l’essere titolare di diritti fa dell’uomo una persona.
Di conseguenza, promuovere la dignità della persona significa riconoscere l’inalienabilità dei suoi diritti, dei quali non può essere privata arbitrariamente.
Il Papa condivide dunque ogni espansione dei diritti umani ed ogni rafforzamento della loro tutela. Né vi è traccia, nelle parole di Bergoglio, di una qualche diffidenza nei riguardi della loro attribuzione a soggetti particolari.
L’unica preoccupazione riguarda piuttosto il fatto che la tendenza verso la rivendicazione di nuovi diritti individuali nasconda una concezione di persona umana staccata da ogni contesto sociale e antropologico, quasi come una “monade” sempre più insensibile alle altre “monadi” che la circondano.
Il Papa non sembra dunque turbato da una eventuale immoralità delle facoltà attribuite all’individuo: non vi è la minima traccia, nel suo discorso, di un simile atteggiamento.
Bergoglio si preoccupa viceversa perché “al concetto di diritto non sembra più associato quello altrettanto essenziale e complementare di dovere, così che si finisce per affermare i diritti del singolo senza tenere conto che ogni essere umano è legato a un contesto sociale, in cui i suoi diritti e doveri sono connessi a quelli degli altri e al bene comune della società stessa”.
Qui il Papa sembra far sua una critica nei confronti dell’estensione dei diritti individuali formulata nel nome di qualche astratto principio moralistico; la diffidenza verso quelli che egli definisce diritti “individualistici”, anziché individuali, deriva dal timore che si trascurino i diritti sociali.
E qui si coglie il riflesso di una divergenza tra la sinistra europea e quella latino americana: mentre l’una perdeva di vista le battaglie sociali, per concentrarsi sulla tutela degli omosessuali, l’altra non smarriva l’aspirazione ad un cambiamento dei rapporti tra le classi.
C’è però anche un altro limite alla affermazione dei diritti: se è vero che la dignità dell’uomo si sostanzia nella loro attribuzione ad ogni persona, è altrettanto vero che la dignità è definita dal Papa con il termine “trascendente”. Questa parola non è riferita alla creazione dell’uomo ad immagine e somiglianza di Dio: se così fosse, il discorso del Papa sarebbe rivolto unicamente ai credenti.
La “trascendenza” della dignità umana è declinata da Bergoglio in termini laici, riferiti alla morale naturale. “Parlare – dice il Papa – della “dignità trascendente dell’uomo” significa "fare appello alla sua natura, alla sua innata capacità di distinguere il bene dal male”. Se c’è un limite alla diffusione dei diritti, esso non è dunque stabilito dal precetto religioso, che si può condividere o meno, bensì dai principi etici universali.
Se il motto dell’Unione Europea, condiviso e riaffermato dal Papa, è “unità nella diversità”, e se è vero che “l’unità non significa uniformità politica, economica, culturale o di pensiero”, l’elemento comune è necessariamente giusnaturalistico. Ciò non esime però i Cristiani dal conferire il proprio contributo alla causa comune.
A questo riguardo, il Papa cita un autore anonimo del secondo secolo, il quale scrisse che “i cristiani rappresentano nel mondo ciò che l’anima è nel corpo”. E “il compito dell’anima – dice il Papa – è quello di sostenere il corpo, di esserne la coscienza e la memoria storica”.
Qui il discorso di Bergoglio giunge alla sua conclusione logica: ripudiata ogni pretesa confessionale, ogni tentativo di far coincidere la legge con il precetto religioso, rimane il problema di definire per l’Europa l’ambito in cui essa si estende e si definisce.
Questo ambito non è spaziale, non è geografico, ma è spirituale, per cui l’Europa assume le dimensioni della stessa civiltà cristiana.