Siamo nel periodo dei 40 giorni di preparazione alla Santa Pasqua. La Quaresima ci ricorda i 40 anni di Israele passati nel deserto, i 40 giorni di digiuno, preghiera e penitenza del Signore prima di iniziare il suo ministero pubblico. Il deserto è il luogo del silenzio, della povertà, dell’incontro con Dio; per attraversarlo è necessario scoprire ciò che è essenziale alla vita. Il deserto è anche il luogo della morte, della solitudine, in cui l’uomo sente con più forza la tentazione. Il deserto è pure un’immagine del mondo attuale, nel quale le persone sono diventate aride, senza cuore, allontanandosi da Dio.

Nel deserto Gesù è tentato dal diavolo tre volte. Tutte le tentazioni hanno come essenza il voler mettere se stessi al centro del mondo, al posto di Dio, rimuovendolo dalla propria esistenza o cercando di sottometterlo alla nostra volontà.

Per vincere le tentazioni è necessario fare altro: mettere Dio al primo posto. E questa è la conversione cui la Quaresima ci richiama. E la conversione si concretizza nell’analizzare la nostra vita davanti Dio, cercando di conoscere noi stessi alla sua luce, riconoscendo le nostre capacità e limiti, chiedendolo con sincerità: cosa vuoi da me, Signore? Questo non è facile, perché spesso non abbiamo tempo per Dio, o non vogliamo ascoltarlo. La tentazione di metterci al centro di tutto è sempre molto forte nella nostra vita.

In Quaresima siamo chiamati a porre la nostra vita davanti a Dio con umiltà. Ed è proprio questo che ha fatto papa Benedetto XVI: analizzare ripetutamente la propria coscienza davanti Dio (conscientia mea iterum atque iterum coram Deo explorata, ha detto il Papa con un linguaggio agostiniano), chiedendolo con totale disponibilità: che cosa vuoi da me? E il Signore gli ha fatto vedere la sua volontà e lui ha risposto, rinunciando al suo ministero per il bene della Chiesa, perché un altro uomo con più forza fisica possa guidare la Chiesa di Cristo nella strada della Nuova Evangelizzazione nel deserto che è diventato il nostro mondo.

Il Papa ha fatto allora un gesto sorprendente, perché è stato un segno di fede e di umiltà, e non sappiamo bene che cosa sia vivere di fede e che cosa sia l’umiltà. Noi siamo sempre pronti a giudicare il nostro prossimo e non tanto ad analizzare la nostra vita davanti Dio, come il Papa ha fatto. In questo periodo di conversione, dobbiamo ricordarci solo che Dio è onnisciente, solo Lui può giudicare le intenzioni delle persone; e dobbiamo avere molto rispetto sempre per le coscienze altrui.

Il papa Giovanni Paolo II ha analizzato la sua vita davanti Dio, che gli ha chiesto di vivere gli ultimi anni del suo ministero come forma di espiazione per i nostri peccati; e a Benedetto XVI, Dio chiede una vita dedicata totalmente alla preghiera. Chi siamo noi per giudicarli? Questi due uomini, probabilmente i due migliori Pontifici della Storia della Chiesa moderna, hanno avuto il coraggio di mettersi davanti Dio, che gli ha indicato la via dell’espiazione e della preghiera. E queste due cose, espiazione e preghiera, sono le cose essenziali della vita sacerdotale. Questi uomini di Dio l’hanno visto e lo propongono a tutti i sacerdoti. Chi siamo noi per condannarli?

E a tutti i cristiani, queste due grandi uomini insegnano ad avere l’audacia di avanzare per la via della conversione, mettendoci davanti Dio, riconoscendo le nostre capacità e chiedendolo ciò che Lui vuole da noi. Dobbiamo avere molta gioia e ringraziare Dio perché questi uomini hanno servito sempre Dio con generosità e sono esempi per tutti noi.

E non dobbiamo lasciarci ingannare dai falsi profeti. Quelli che ora criticano il Papa Benedetto XVI perché è anziano e ha rinunciato, sono gli stessi che hanno criticato Giovanni Paolo II per essere anziano e non aver rinunciato al suo “potere”. Sono tanti oggi quelli che non pongono la propria vita davanti a Dio e perciò sono sempre pronti a buttare le pietre contro il loro prossimo, anche contro quelli che non hanno fatto nessun peccato. Nella Storia della Chiesa ci sono stati Papi santi che non hanno rinunciato e un Papa santo (Celestino V) che ha rinunciato al suo ministero.

Noi che desideriamo una vera conversione, dobbiamo ringraziare Dio per i ministeri luminosi e complementari di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI. Loro hanno avuto l’umiltà, la fede e il coraggio di seguire la propria coscienza, analizzata alla luce di Dio; ora dobbiamo pregare per Benedetto XVI, dimostrandogli molto affetto e ringraziando Dio per il bene che lui ha fatto alla Chiesa di Dio in tutti questi anni. Papa Benedetto XVI ci ha sempre insegnato che la Chiesa è una grande famiglia, quella dei figli di Dio.

Quale figlio, avendo un padre con 86 anni, che ha appena subìto un intervento al cuore, lo critica perché non può più lavorare?

Chiediamo al Signore che ci faccia diventare veri cristiani, che sappiano amare il prossimo come Gesù lo ha amato, senza mai metterci al posto di Dio, giudicando o criticando chi è stato sempre un padre esemplare.

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Don Anderson Alves è sacerdote della diocesi di Petrópolis, Brasile. È dottorando in Filosofia presso alla Pontificia Università della Santa Croce a Roma.