«A volte ci sembra che Dio non risponda al male, che rimanga in silenzio. In realtà Dio ha parlato, ha risposto, e la sua risposta è la Croce di Cristo: una Parola che è amore, misericordia, perdono».
La riflessione di Papa Francesco torna in mente nella Domenica delle Palme, il giorno che ricorda Gesù che entra a Gerusalemme, la città dei re, in groppa ad un asino, tra due ali di gente umile e modesta, simbolicamente ai margini della strada. Un chiaro invito a rompere lo schema regale del bello e della perfezione per andare oltre le apparenze e scoprire i valori nascosti, la bellezza interiore. Non a caso nel Vangelo, proprio a partire dalla liturgia della giornata odierna, c’è lo sforzo di riassumere in Cristo lo spettro della sofferenza umana: la paura della morte nell’orto del Getsemani, e la solitudine, perché gli apostoli lo abbandonano, Giuda lo tradisce e Pietro lo rinnegherà. Poi, ancora, la sofferenza fisica in senso stretto, la tortura, la lunga agonia. Infine, prima della morte, il silenzio di Dio.
È questo il cuore del cristianesimo: un Dio che non assiste alle disgrazie degli uomini come un imperatore indifferente. Un Dio che sceglie di partecipare della fragilità e caducità legate alla condizione umana. Cristo non si comporta come un benefattore che porge la mano al miserabile: come scrive Dietrich Bonhoeffer, teologo morto nei campi di concentramento nazisti, «Dio in Cristo non ci salva in virtù della sua onnipotenza, Dio in Cristo ci salva in virtù della sua impotenza».
In effetti, la settimana della passione schiude davanti agli occhi la scena di un uomo nudo inchiodato e morente, con le braccia spalancate in un abbraccio che non si rinnegherà in eterno. Un uomo che non chiede niente per sé ma fino all’ultimo, obliando se stesso, pensa a chi gli sta morendo a fianco.
La suprema bellezza della storia è quella accaduta fuori Gerusalemme, sul Golgota, dove il Figlio di Dio si lascia inchiodare, povero e nudo, per morire d'amore. La Croce è l'innesto del cielo nella terra, il punto dove un amore eterno penetra nel tempo come una goccia di fuoco, e divampa. Sul Calvario l'amore scrive il suo racconto con l'alfabeto delle ferite, l'unico indelebile, il solo in cui non vi sia inganno. Da qui la commozione, lo stupore e anche l'innamoramento. Dopo duemila anni, come all’epoca le donne, il centurione, il ladro, ognuno sente che nella Croce c'è la suprema attrazione di Dio, che vince perché convince, e lo fa non attraverso le spiegazioni dei teologi, bensì con l'eloquenza del cuore. La crisi che ancora morde l’economia e la società e non risparmia la famiglia nella stabilità dei legami e neppure la religione, ha indebolito il senso del bene comune, aprendo la via alla rassegnazione ed al pessimismo che oggi sembrano prevalere. Ma il sacrificio di Cristo testimonia che nulla si ottiene nascondendo la testa sotto la sabbia, se non di farsi rubare la speranza. Servono fede e coraggio, perché come l’esempio della Croce, per dirla con le parole dello scrittore Paulo Coelho, l’ora più buia non è quella della fine di tutto, ma semplicemente quella «che precede il sorgere del sole».