ROMA, domenica, 9 aprile 2006 (ZENIT.org).- Il caso di Abdul Rahman, l’afgano convertitosi dall’islam al cristianesimo e per questo condannato a morte nella sua patria, ha suscitato grandi dibattiti internazionali ma anche discussioni interne all’islam.
Secondo quanto riportato da “AsiaNews”, un’indagine realizzata nello Yemen mostra come neppure tra gli imam ci sia un’univocità di posizioni, anche se prevale la condanna.
Il leader del maggiore partito islamico di opposizione yemenita, Mohammed Qahtan, presidente del Partito Islah, ha affermato che “attualmente, secondo la legge gli apostati dall’islam dovrebbero essere uccisi”, ma ha anche rivelato che nella pratica questa legge non viene applicata nel suo Paese.
Qahtan si è detto contrario a questa disposizione: “Sono stupito dall’insegnamento dei cosiddetti studiosi che continuano a dire che all’apostata devono essere dati tre giorni per pentirsi del cosiddetto crimine e che, se rifiuta, deve essere ucciso. Le persone che credono a queste cose sono ferme nel tempo e devono svegliarsi davanti alla modernità”.
Per l’imam Khalid, invece, Rahman “ha commesso un atroce crimine contro Allah e contro la umma [la società islamica] e merita di essere ucciso”, secondo quanto ha riportato l’agenzia del Pontificio Istituto Missioni Estere.
Pur riconoscendo che il Corano non dà una chiara indicazione sul fatto che una persona in questa situazione debba essere uccisa, l’imam ha affermato che uno dei detti di Maometto trasmessi recita: “Chiunque cambi la sua religione islamica, uccidetelo”.
“Tra l’altro, nessun musulmano sano vorrebbe mai cambiare la sua fede”, ha aggiunto il religioso, osservando che secondo lui Abdul Rahman non è quindi in possesso delle sue facoltà mentali.
L’agenzia del PIME sottolinea che, “per contrasto, fra i settori commerciali e professionali della società yemenita, le interviste hanno ricevuto risposte molto più tolleranti e progressive”.
“L’apostata dovrebbe essere ucciso solo se in qualche modo rappresenta una minaccia fisica alla società islamica – è una delle risposte ottenute –. Questo era il senso degli Hadith che parlano dell’argomento. In un altro senso, l’insegnamento dell’islam di uccidere gli apostati si riferisce solo a chi cambia la sua religione e poi diviene una spia o prende in mano le armi per la causa del nemico”.
Ugualmente vivace è il dibattito sulla questione tra gli universitari, alcuni dei quali richiamano il versetto coranico che afferma “Non vi è costrizione nella religione” (Sura 2:256), mentre altri sostengono che il versetto non difende il diritto di un musulmano all’apostasia, ma dice soltanto che non si può essere costretti con la forza a cambiare la propria religione.
“Il dibattito sull’apostasia, come la controversia sulle vignette, non si svolge solo fra il mondo musulmano e l’Occidente, come qualcuno vorrebbe affermare, ma anche all’interno delle stesse società islamiche – conclude “AsiaNews” –. La battaglia per la libertà religiosa continua.
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Apr 09, 2006 00:00