In occasione dei cinquecento anni dalla nascita di Santa Teresa d’Avila (1515-1582), papa Francesco ha espresso la sua gratitudine alla “grande famiglia Carmelitana scalza – religiose, religiosi e secolari – per il carisma di questa donna eccezionale”.
In una lettera recapitata al Preposito Generale dell’Ordine dei Carmelitani Scalzi, padre Saverio Cannistrà, il Pontefice ha ritenuto “una grazia provvidenziale che questo anniversario coincida con l’Anno dedicato alla Vita Consacrata, nella quale la Santa di Ávila risplende come guida sicura e modello attraente di donazione totale a Dio”.
Il bene che questa santa ha seminato nella sua vita emerge ancora oggi nella “testimonianza della sua consacrazione, nata direttamente dall’incontro con Cristo”, nella sua “esperienza di preghiera, come dialogo continuo con Dio”, e nella sua “vita comunitaria, radicata nella maternità della Chiesa”, scrive il Papa.
Francesco indica poi Santa Teresa come “maestra di preghiera”, nella cui esperienza è stata “centrale” la “scoperta dell’umanità di Cristo”, da lei stessa descritta “in maniera vivace e semplice, alla portata di tutti, perché essa consiste semplicemente in «un rapporto d’amicizia […] con chi sappiamo che ci ama» (Vita, 8, 5)”.
Spesso la narrazione di Teresa “si trasforma in preghiera” ma non si tratta di una preghiera “riservata unicamente ad uno spazio o ad un momento della giornata”: la santa spagnola “era convinta del valore della preghiera continua, benché non sempre perfetta” e “ci chiede di essere perseveranti, fedeli, anche in mezzo all’aridità, alle difficoltà personali o alle necessità pressanti che ci chiamano”.
Il modello di vita consacrata offerto da Teresa d’Avila, “lungi dal chiuderci in noi stessi o dal condurci solo ad un equilibrio interiore”, ci fa “ripartire sempre da Gesù” e costituisce “un’autentica scuola per crescere nell’amore verso Dio e verso il prossimo”.
Teresa fu una “comunicatrice instancabile del Vangelo” e, “desiderosa di servire la Chiesa”, di fronte ai “gravi problemi del suo tempo, non si limitò ad essere una spettatrice della realtà che la circondava”, diventando così pioniera di quella “dimensione missionaria ed ecclesiale ha da sempre contraddistinto le Carmelitane e i Carmelitani scalzi”.
Inoltre, la santa carmelitana era consapevole che “né la preghiera né la missione si possono sostenere senza un’autentica vita comunitaria”; fu quindi “molto attenta ad ammonire le sue religiose circa il pericolo dell’autoreferenzialità nella vita fraterna”.
Alle sue consorelle, Teresa raccomandò innanzitutto “la virtù dell’umiltà, che non è trascuratezza esteriore né timidezza interiore dell’anima, bensì conoscere ciascuno le proprie possibilità e ciò che Dio può fare in noi”. Fu contraria ai “pettegolezzi”, alle “gelosie”, alle “critiche”, che “nuocciono seriamente alla relazione con gli altri” e, al contrario, fu fautrice di un’umiltà “fatta di accettazione di sé, di coscienza della propria dignità, di audacia missionaria, di riconoscenza e di abbandono in Dio”.
Prendendo atto di tali “nobili radici”, papa Francesco ha infine esortato le comunità teresiane a “diventare case di comunione, capaci di testimoniare l’amore fraterno e la maternità della Chiesa, presentando al Signore le necessità del mondo, lacerato dalle divisioni e dalle guerre”.
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