di Paolo Lorizzo*
ROMA, sabato, 21 aprile 2012 (ZENIT.org) - Lasciandosi alle spalle Porta S. Sebastiano e percorrendo la via Appia Antica, ci si immerge in una realtà che ha mantenuto nei secoli immutata carica emotiva e religiosa. Qui sono ancora vivide le tracce dei primi cristiani, storia narrata dalle vicine catacombe di S. Callisto e S. Sebastiano, scrigni che racchiudono gioielli d’arte nonché piccole e grandi storie delle vicissitudini e sofferenze umane.
Superato il complesso dell’imperatore Massenzio, sorto sulle rovine della residenza di Erode Attico e di sua moglie Ania Regilla (il famoso ‘Triopio’, complesso abitativo realizzato nel II secolo d.C.), si giunge in uno degli spaccati più affascinanti della campagna romana.
Improvvisamente ci si ritrova catapultati nei paesaggi ottocenteschi magistralmente descritti negli acquerelli del Labruzzi o nelle istantanee dell’Ashby. Qui il tempo sembra essersi fermato e l’armonia tra storia e natura si amplifica osservando l’imponente struttura della tomba di Cecilia Metella vissuta quando Roma viveva l’alba dell’impero.
Molto tempo dopo, in un’epoca in cui la città aveva da un pezzo dismesso i panni della ‘caput mundi’, sorse nell’area un ‘castrum’ fortificato ad opera dei Conti del Tuscolo che già possedevano un castello edificato qualche chilometro più avanti sulle rovine del ninfeo della celebre villa dei Quintili.
Fu papa Bonifacio VIII (Benedetto Castani) ad acquisire il territorio e a realizzare un borgo fortificato in località Capo di Bove (così chiamata fin dall’epoca medievale per la presenza di alcune teste di bovini in marmo presenti nella fascia decorativa lungo il tamburo del mausoleo di Cecilia Metella), allo scopo di controllare il territorio e riscuotere le gabelle per il transito delle mercanzie in entrata e in uscita da Roma.
Il castello, uno splendido esempio di architettura civile medievale, conserva intatta la sua struttura essenziale, ma senza piani di calpestio e copertura in legno. Sono ancora leggibili sulla superficie interna delle pareti, la scansione dei tre piani originali, mentre la geometria dell’edificio si altera solo lungo il lato del mausoleo romano, per adattarsi alla preesistente struttura.
Contestualmente al piccolo borgo (protetto da un muro di cinta scandito da 16 torri) nacque nel 1302 la chiesa di S. Nicola, uno splendido edificio di gusto e stile gotico, che rappresenta con ogni probabilità uno dei pochissimi esempi romani di questo stile architettonico.
L’edificio possiede una facciata molto semplice, scandita sul lato sinistro da un campanile a vela che però rappresenta un’aggiunta successiva all’impianto originale. L’ampio portale decorato da un architrave marmorea era chiuso, fino a poco tempo fa, da un muro di epoca tarda che impediva una visione d’insieme dell’interno (ora rimosso), ad un’unica sala rettangolare con un’abside situata sulla parete di fondo.
Le pareti esterne sono scandite da piccoli contrafforti in muratura i cui spazi di risulta sono occupati da interessanti monofore ad arco-acuto, scandite da una cornice di marmo. Un sondaggio di scavo effettuato nei pressi dell’entrata laterale di sinistra, ha riportato alla luce le fondazioni dell’edificio e il paleosuolo su cui esse poggiano, dando modo di comprendere che l’antica pavimentazione interna era probabilmente rialzata di circa 35 cm rispetto l’attuale piano di calpestio in terra battuta. La mancanza del tetto (come del resto in tutta la struttura dell’attiguo castello) sembra infondere al complesso monumentale un aspetto maggiormente ‘bucolico’, amplificando quel fascino che solitamente possiedono gli edifici sacri degli ordini mendicanti.
L’edificio in effetti richiama molto, attraverso l’austerità e la semplicità della facciata, l’architettura monastica francescana e domenicana, ma da questa se ne discosta per la spazialità e soprattutto la luminosità della navata che solitamente era in ‘religiosa’ penombra, in contrasto con la luminosità della parete absidale, traforata da finestre.
Come ciascuna espressione architettonica di tipo gotico che si rispetti, la volta della navata era scandita da volte a crociera ‘costolonate’ (formate da due cordoli in pietra che si incrociavano tra loro) poggianti su una mensola decorata con foglie nascenti da un fiore. Questo elemento, di chiaro gusto cistercense, confermerebbe la presenza in loco di maestranze che avevano maturato esperienze edilizie presso l’Ordine Cistercense a cui Bonifacio VIII era particolarmente legato.
* Paolo Lorizzo è laureato in Studi Orientali e specializzato in Egittologia presso l'Università degli Studi di Roma de 'La Sapienza'. Esercita la professione di archeologo.