Lebbra

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"Vivere è aiutare a vivere". Il messaggio di Zimowski per la Giornata dei malati di lebbra

Il 10 e 11 giugno, in Vaticano, due giornate di studio sul tema promosse dal Pontificio Consiglio per operatori sanitari in collaborazione con le Fondazioni Sasakawa e Raoul Follereau

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Quanti sono colpiti dalla lebbra devono ancora oggi affrontare un’emarginazione che si nutre di una paura quasi “ancestrale” e che, tuttavia, non ha più ragione d’essere in quanto tale malattia può essere sconfitta e chi ne guarisce può tornare a vivere. Lo sottolinea l’arcivescovo Zygmunt Zimowski nel messaggio scritto in occasione della 63° giornata mondiale dei malati di lebbra, che si celebra domenica 31 gennaio.
Vivere è aiutare a vivere è il titolo del messaggio, nel quale – riferisce L’Osservatore Romano – il presidente del Pontificio Consiglio per gli operatori sanitari invita tutti “coloro che sono nella condizione di salute» ad «aiutare a vivere in modo degno coloro che a tutt’oggi sono vittime di un ingiustificato stigma sociale”. È l’invito a fare propria “la tenerezza di Dio” che si rispecchia “nella sollecitudine di Maria” così come nell’impegno di tante persone che sanno stare accanto ai malati guardandoli “con occhi pieni di amore”.
Nel testo l’arcivescovo annuncia anche che il Dicastero da lui presieduto, in collaborazione con la Fondazione Sasakawa e la Fondazione Raoul Follereau, ha promosso due giornate di studio in programma il 10 e l’11 giugno in Vaticano. L’incontro culminerà il giorno successivo con la messa presieduta da Papa Francesco in piazza San Pietro in occasione del giubileo dei malati e delle persone disabili.
Anche tale iniziativa servirà a trovare “nuovo slancio” nella lotta alla lebbra. Un impegno nel quale, raccomanda mons. Zimowski, tutti devono sentirsi coinvolti “ampliando le attività di informazione e di prevenzione, ma soprattutto favorendo, come gesto di vera ‘com-passione’, il reinserimento sociale e lavorativo di chi ne è guarito e che, nonostante porti impressi i segni nel corpo, ha mantenuto intatta la propria dignità di persona”.

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ZENIT Staff

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