In Siria, la fame miete più vittime della guerra

Madaya non è l’unica località colpita dall’emergenza cibo

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“Il cibo è divenuta l’arma maggiormente letale del conflitto siriano”. Lo afferma padre Andrzej Halemba, responsabile internazionale di Aiuto alla Chiesa che Soffre per il Medio Oriente
Il sacerdote, che visita costantemente la Siria, nota come sia il governo che ribelli impediscano l’arrivo degli aiuti umanitari al fine di sottomettere più facilmente la popolazione. “Abbiamo visto tutti le drammatiche immagini di Madaya, la cittadina a nord di Damasco dove alcuni abitanti sono morti a causa della mancanza di cibo. Ma vi sono tante altre zone in cui si muore di fame”, aggiunge padre Halemba.
Sarebbero infatti oltre quattro milioni i siriani che vivono in aree inaccessibili agli aiuti, un dramma che ha mietuto più vittime della guerra. “Dall’inizio della crisi – prosegue il responsabile per il Medio Oriente di ACS – oltre 280mila persone sono morte a causa del conflitto, mentre 350mila hanno perso la vita per carenza di medicine o beni di prima necessità”.
Dal 2011 ad oggi Aiuto alla Chiesa che Soffre ha finanziato progetti a sostegno della popolazione siriana per un totale di 10milioni e 380mila euro. Di questi, 6milioni e 200mila euro (circa il 60% del totale) sono stati donati nel solo 2015.
Ma l’accrescere delle necessità richiede un costante aumento degli aiuti. “Dobbiamo far pervenire più aiuti nelle aree in cui questi riescono a giungere perché è lì che si sta concentrando la popolazione – spiega padre Halemba – Per questo ACS ha sviluppato 20 nuovi programmi di emergenza”.
La fondazione pontificia lavora a stretto contatto con i vescovi dei diversi riti a Damasco, Aleppo, Tartus e Homs, e collabora con la Caritas, i gesuiti ed altre congregazioni per fornire ai siriani cibo, medicine, acqua potabile, vestiti caldi, scarpe e vari beni di prima necessità. Lo scorso anno sono stati distribuiti oltre 15mila pacchi di aiuti, un numero che sarà probabilmente maggiore nel 2016 dal momento che la situazione continua a peggiorare.
“La crisi è inoltre aggravata dalla mancanza di fornitura elettrica – aggiunge il sacerdote – un problema determinante quando le temperature scendono al di sotto dello zero. Molte persone ci hanno ringraziato in lacrime per aver ricevuto i nostri aiuti senza i quali non sarebbero sopravvissuti all’inverno». In questi giorni ACS è particolarmente attiva nel fornire assistenza agli abitanti dei villaggi nei dintorni di Hassake, nel nordest del paese, in un’area che fino a qualche mese fa era sotto il controllo dello Stato Islamico.
“Vi sono molti cristiani assiri che non possono ancora far ritorno alle proprie case perché i villaggi mancano di tutto. Mentre 79 di loro sono ancora nelle mani dell’Isis a Raqqa”.
Il pensiero di padre Halemba va ai tanti cristiani che vivono nelle aree controllate dal Califfato e da altri gruppi jihadisti. “Lì i nostri fratelli nella fede sono costretti a pagare fino a 87mila lire siriane (362euro) di jizya, la tassa di “protezione” imposta ai non musulmani, l’anno. Una cifra insostenibile in un paese in cui non vi sono risorse e in cui un chilo di zucchero costa dieci volte in più di quanto non costasse appena cinque anni fa”, conclude il responsabile di ACS per il Medio Oriente.

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ZENIT Staff

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