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San Benedetto, l'Europa cristiana e la fede che non può crollare

Il terremoto ha ferito il cuore geografico e spirituale d’Italia e d’Europa, ma la preghiera ai piedi di una basilica semidistrutta è segno di speranza per l’avvenire

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Tra le tante icone di San Benedetto da Norcia, ve n’è una – presumibilmente rupestre – che lo raffigura mentre sorregge su una mano una sorta di miniatura di una cittadella tipica dell’Europa medievale.
È un’immagine carica di significato. Il Santo Patrono d’Europa custodisce e salvaguarda la manifestazione concreta, in pietra e malta, di quella civiltà cristiana di cui lui è l’iniziatore.
La cittadella che stringe vicino al petto è il modello di uno dei tanti borghi d’Italia inerpicati sulle colline e sulla dorsale appenninica che si adagia lungo la penisola. Potrebbe essere proprio Norcia, paese che a Benedetto, nel V secolo, diede i natali.
Norcia, quella località situata nel cuore geografico d’Italia, patrimonio artistico e spirituale, di cui oggi rimangono soltanto polvere e macerie. Aveva resistito al terremoto del 24 agosto scorso che ha raso al suolo le vicine Amatrice, Accumoli e Pescara del Tronto. Ferita sì, ma salda come la statua del suo nobile figlio che sorge nella piazza a lui dedicata.
Ma la nuova scossa che ha sconvolto l’Italia – la più violenta dopo quella che colpì l’Irpinia nel 1980 – non l’ha risparmiata. Le immagini dall’alto, riprese da un elicottero, danno la misura del dramma. Un clima spettrale si è impossessato di Norcia, trasformata da cuore pulsante di pellegrinaggi, turismo e commerci alimentari in un cumulo di macerie.
Non può sfuggire ai più attenti il valore simbolico che assume questa mesta circostanza. La basilica di San Benedetto da Norcia, edificata secondo la tradizione nel punto in cui sorgeva la casa in cui egli nacque, è sgretolata come un castello di sabbia. Dell’incanto che offriva a chiunque ammirasse questo gioiello d’arte romanica (con elementi gotici e barocchi) resta solo il ricordo.
Resta invece in piedi (miracolosamente, secondo alcuni) la statua di San Benedetto al centro della piazza. Ed assume un valore simbolico anche questo.
È vero che la catastrofe naturale ha pugnalato il cuore geografico e spirituale dell’Italia e dell’Europa. Ma è pur vero – e ce lo insegna proprio l’esperienza terrena di San Benedetto – che il sangue che sprigiona quella ferita può diventare un efficace fertilizzante spirituale.
Il crollo delle mura e il crollo dei valori spesso coincidono. Coincisero ad esempio nell’Italia del V e del VI secolo, tramortita dalla caduta dell’Impero Romano e violata dalle scorribande dei barbari. Alle guerre tra goti e bizantini, alla discesa dei longobardi nella penisola corrisposero le devastazioni dei centri abitati, le grandi migrazioni, il dissolversi dei valori.
Nel ventre di un’Italia lacerata si stava però formando l’embrione della rinascita. La storia di San Benedetto è nota. Recatosi a Roma da adolescente per compiere gli studi, rimase negativamente colpito dal clima dissoluto che aleggiava nell’antica capitale dell’impero. Si ritirò allora a vita eremitica, in una grotta nei pressi di Subiaco. Lì rimase tre anni, un periodo che fu per lui foriero di maturazione spirituale.
La sua fama di eremita si fece presto attrazione per tanti giovani disorientati dal vuoto di valori. Benedetto creò insieme a loro una comunità che gettò le basi per la civiltà che sarebbe rinata dalle ceneri di un grande impero che si era dissolto. Il monachesimo costituì non una via di fuga, ma il laboratorio finanche sociale dell’avvenire.
Nella sua Regola, Benedetto operò un discernimento tra l’essenziale e l’accessorio, incipit di una vita scandita dalla preghiera e dal lavoro. Le sue comunità furono fucine di scienza e fede, agricoltura e artigianato, tessuti sociali dai quali emerse l’Europa nobile del Medioevo a cui il mondo intero è debitore.
Elemento fondante dell’idillio tra preghiera e lavoro divenne la stabilitas, l’esser radicati su un posto. Scomparve l’idea per cui si dovesse migrare a seguito di un evento specifico, si sviluppò invece il concetto di insediamento, di legame con la patria.
Ed è un’eredità benedettina quella pervicacia con cui oggi, con le scosse che ancora fanno vibrare la terra sotto ai piedi, tanti cittadini delle località devastate rifiutano di abbandonare i loro paesi d’origine.
È un simbolo anche questo, condensato nell’immagine apparsa in tv già poco dopo il violento sisma. Essa ritrae un gruppo di persone in ginocchio, laici e suore e frati benedettini, nella piazza antistante la facciata della basilica di San Benedetto da Norcia semidistrutta, intenti a recitare un rosario.
Il loro anelito religioso è il pertugio di speranza che penetra come una luce nell’ombra. Possono crollare le mura, possono essere offesi e misconosciuti i valori cristiani dell’Europa, ciò che non può crollare è la fede di quei pochi che portano in grembo l’embrione della rinascita. Il loro esempio sarà attrazione per chi si sente perduto nel labirinto del relativismo. Solo la preghiera è l’architrave su cui verrà ricostruita quella cittadella medievale sorretta da San Benedetto.

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Federico Cenci

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