Conclusa la visita al Santuario della Divina Misericordia, nel quartiere di Lagiewniki, papa Francesco si è recato al vicino Santuario dedicato a San Giovanni Paolo II, di più recente consacrazione, dove sono custodite le spoglie di alcuni cardinali polacchi e la veste insanguinata dopo l’attentato a Wojtyla del 1981.
Presiedendo la messa, durante l’omelia, il Pontefice ha preso spunto dal Vangelo della prima apparizione ai discepoli del Risorto, cui segue l’episodio dell’incredulità di Tommaso: stride, in questa circostanza cruciale, il contrasto tra la paura dei discepoli che “chiudevano le porte [del Cenacolo, ndr] per timore”, mentre Gesù vuole che “escano a diffondere il perdono e la pace di Dio, con la forza dello Spirito Santo”.
Persino tra sacerdoti e consacrati, ha ammonito Bergoglio, può insinuarsi “la tentazione di rimanere un po’ rinchiusi, per timore o per comodità, in noi stessi e nei nostri ambiti”. Ma Gesù indica una direzione “a senso unico”, un vero “viaggio senza biglietto di ritorno” che è quello dell’“uscire da noi stessi”.
Gesù stesso, ha aggiunto il Papa, “non ama le strade percorse a metà, le porte lasciate socchiuse, le vite a doppio binario. Chiede di mettersi in cammino leggeri, di uscire rinunciando alle proprie sicurezze, saldi solo in Lui”.
La vita a servizio di Cristo richiede “amore concreto”, ovvero “servizio e disponibilità”: è una vita dove “non esistono spazi chiusi e proprietà private per i propri comodi”. Chi sceglie questa vita, “la casa dove abita non gli appartiene, perché la Chiesa e il mondo sono i luoghi aperti della sua missione”.
Il vero sacerdote, consacrato o missionario fugge dalle “situazioni appaganti che lo metterebbero al centro, non si erge sui traballanti piedistalli dei poteri del mondo e non si adagia nelle comodità che infiacchiscono l’evangelizzazione; non spreca tempo a progettare un futuro sicuro e ben retribuito, per non rischiare di diventare isolato e cupo, rinchiuso nelle pareti anguste di un egoismo senza speranza e senza gioia”.
Un uomo di Cristo autentico non si accontenta di una “vita mediocre”, né di “vivacchiare” ma, piuttosto, “si rallegra di evangelizzare”.
Nel Vangelo emerge poi la figura di San Tommaso Apostolo, il quale “nel suo dubbio e nella sua ansia di voler capire, questo discepolo, anche piuttosto ostinato, un po’ ci assomiglia e ci risulta anche simpatico. Senza saperlo – ha osservato Francesco – egli ci fa un grande regalo: ci porta più vicino a Dio, perché Dio non si nasconde a chi lo cerca” e, in questo caso, lo fa mostrando le sue “piaghe gloriose”, “i segni vivi di quanto ha patito per amore degli uomini”.
Qual è allora l’approccio che bisogna tenere nei confronti della persona di Cristo? Il suo cuore, ha spiegato il Santo Padre, “è conquistato dall’apertura sincera, da cuori che sanno riconoscere e piangere le proprie debolezze, fiduciosi che proprio lì agirà la divina misericordia”.
Gesù cerca “cuori aperti e teneri verso i deboli, mai duri; cuori docili e trasparenti, che non dissimulano di fronte a chi ha il compito nella Chiesa di orientare il cammino”; Egli cerca discepoli che non esitino a “porsi domande”, con il “coraggio di abitare il dubbio e di portarlo al Signore, ai formatori e ai superiori, senza calcoli e reticenze”, né tantomeno “doppiezza negli atteggiamenti e nella vita”.
In conclusione, il Papa ha definito il Vangelo come il “libro vivente della misericordia di Dio”, che, tuttavia, “va letto e riletto continuamente” ed ha “ancora delle pagine bianche in fondo” che noi “siamo chiamati a scrivere con lo stesso stile, compiendo cioè opere di misericordia”, prendendo concretamente cura “delle piaghe di Gesù nei nostri fratelli e sorelle che sono nel bisogno, dei vicini come dei lontani, dell’ammalato come del migrante, perché servendo chi soffre si onora la carne di Cristo”.
Nel suo indirizzo di saluto, il cardinale arcivescovo di Cracovia, Stanislaw Dziwisz, ha rivolto il suo saluto al Santo Padre, a nome dell’intero clero polacco, dei seminaristi, dei religiosi e delle persone consacrate.
Nel suo indirizzo di saluto al termine della messa, il cardinale arcivescovo di Cracovia, Stanislaw Dziwisz, ha rivolto il suo saluto al Santo Padre, a nome dell’intero clero polacco, dei seminaristi, dei religiosi e delle persone consacrate.
“Da alcune decine di anni – ha ricordato Dziwisz – la Chiesa polacca ha avuto il dono di molte vocazioni sacerdotali, religiose e missionarie. Ancora nel periodo in cui vigeva il sistema comunista, giovani polacchi e polacche vedevano nella Chiesa il terreno in cui poter servire ai loro fratelli e sorelle, annunciando loro, con la vita e la parola, la piena verità su Dio e sull’uomo”.
I sacerdoti e i religiosi polacchi, lungi dal rimanere “chiusi in se stessi”, si sono “aperti alle necessità delle altre Chiese”, intraprendendo missioni in tutto il mondo, e pagando, in questo modo, “il debito per il battesimo ricevuto dai nostri antenati mille e cinquant’anni fa”, ha aggiunto il porporato.
Al tempo stesso, i rappresentanti della Chiesa polacca si stanno sforzando di dare “una testimonianza trasparente del Vangelo”, attraverso una continua conversione “ad uno stile evangelico di vita e di servizio”, come quello desiderato da papa Francesco, che il cardinale Dziwisz ha pubblicamente omaggiato, dicendogli: “Le tue parole e la tua presenza di oggi fra noi, ci rinforzano nella vocazione e nella prontezza a proseguire nel nostro servizio”.
Foto by Junno Arocho Estevez
Il Papa al clero polacco: “Dio non ama le strade percorse a metà, le vite a doppio binario”
Presiedendo la messa al santuario di San Giovanni Paolo II, papa Francesco esorta il clero, i religiosi e i seminaristi polacchi: “Offrite servizio e disponibilità nell’evangelizzazione, evitate comodità e situazioni appaganti”