I Papi e gli ebrei: dal Concilio ai "fratelli maggiori" di Wojtyla

Papa Francesco sarà il terzo Pontefice a recarsi in visita al Tempio Maggiore la prossima domenica 17 gennaio. Un nuovo impulso ad un cammino di fraternità e riconciliazione iniziato 50 anni fa

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Lo spartiacque fu Giovanni Paolo II quando, il 13 aprile 1986, varcò la soglia della Sinagoga di Roma, il “Tempio Maggiore” del Lungotevere de’ Cenci, una delle più grandi sinagoghe d’Europa, dove domenica 17 gennaio si recherà in visita Papa Francesco. Era la prima volta che un Pontefice compieva un gesto simile. Tutti, ebrei e cristiani, erano impreparati a vivere un evento di tale portata; tutti, però, avevano una certezza: in quel momento si stava scrivendo un pezzo di storia. Una storia di riconciliazione tra due popoli iniziata già con il Concilio Vaticano II e la redazione della Nostra Aetate, pietra miliare del dialogo della Chiesa con le altre religioni, specie l’ebraismo definito per la prima volta in modo ufficiale l’humus da cui fiorì il cristianesimo.
Ancor prima del Concilio vi fu quell’indimenticabile gesto di San Giovanni XXIII che, nel 1959, fece fermare sul Lungotevere la macchina su cui viaggiava e il corteo pontificio per benedire gli ebrei che, di sabato, uscivano dalla Sinagoga. Un gesto rivoluzionario, di grande simbolismo, che valse al Papa l’entusiasmo di tutti i presenti che circondarono la sua vettura per applaudirlo e salutarlo.
Ci fu poi il viaggio di Paolo VI in Terra Santa, nel 1964, che servì da trampolino di lancio a questa storia di riscoperta delle radici comuni. Ad essa il Santo Wojtyla diede l’impulso finale scrivendo un nuovo capitolo che come titolo aveva una semplice espressione, “fratelli maggiori”, che ne spazzò definitivamente via un’altra: quel “perfidi giudei” contenuto nella preghiera del Venerdì santo che identificava la difficile relazione vissuta da cattolici ed ebrei fino all’assise conciliare. In due parole il Papa polacco sintetizzò il profondo cambiamento che stava avvenendo nella Chiesa e che tuttora continua ad evolversi. Anni dopo anni, Papi dopo Papi.
Da quella visita alla comunità ebraica romana nulla fu come prima, infatti: l’abbraccio tra i due popoli fratelli desiderato da molti (non da tutti) da speranza divenne concretezza. Non si dimenticano infatti i gesti di fraternità e reciproca accoglienza tra il Pontefice e l’allora Rabbino Capo di Roma, Elio Toaff. Lo stesso Toaff il cui nome appare nel testamento spirituale di Wojtyla, insieme a quello dell’allora prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, il cardinale Joseph Ratzinger, poi Benedetto XVI, e del cardinale Stanisław Dziwisz, l’arcivescovo di Cracovia per quarant’anni segretario particolare del Santo Padre. Segno di un legame “che va oltre l’ufficialità. Una simpatia sostanziale che porta all’amicizia là dove il profilo dottrinale può creare problemi”.
Proprio Toaff nel volume autobiografico Perfidi giudei, fratelli maggiori, edito da Mondadori, descrive dettagliatamente quegli attimi: “Insieme – scrive – entrammo nel Tempio. Passai in mezzo al pubblico silenzioso, in piedi, come in sogno, il Papa al mio fianco, dietro cardinali, prelati e rabbini: un corteo insolito, e certamente unico nella lunga storia della Sinagoga. Salimmo sulla Tevà e ci volgemmo verso il pubblico. E allora scoppiò l’applauso. Un applauso lunghissimo e liberatorio, non solo per me ma per tutto il pubblico, che finalmente capì fino in fondo l’importanza di quel momento… L’applauso scoppiò [nuovamente] irrefrenabile quando [il Papa] disse: ‘Siete i nostri fratelli prediletti e, in un certo modo, si potrebbe dire, i nostri fratelli maggiori’”.
Seguirono negli anni successivi altri incontri tra i due leader religiosi, spesso privati, e lettere. Tante lettere. Come quella inviata da Giovanni Paolo II al Rabbino nella Pasqua ebraica del 1987, in cui, ricordava Toaff: “Papa Wojtyla mi scriveva perché mi facessi portavoce presso la mia Comunità dei suoi voti volti affinché a proseguire insieme, ebrei e cristiani, nel cammino della libertà e della fede nella speranza, con la gioia che è nei cuori durante la grande solennità pasquale” “Ricordiamoci in ogni momento della nostra vita che l’uomo è fatto a immagine di Dio”, diceva Giovanni Paolo II.
Dopo di lui, Benedetto XVI si recò il 17 gennaio 2010 nella stessa famosa e antica Sinagoga, che sorse – anzi risorse – tra il 1901 e il 1904 su uno dei quattro lotti di terreno ricavati dalla demolizione delle più fatiscenti aree del Ghetto. Gli ebrei romani – la cui presenza nella Capitale risale al 70 d.C. – vollero fortemente che il nuovo Tempio sorgesse tra i due maggiori simboli della ritrovata libertà: il Campidoglio, sede del Comune, e il Gianicolo, luogo delle più aspre battaglie risorgimentali, e che fosse grande e visibile da ogni punto panoramico della città.
Il risultato fu un edificio eclettico, suggestivo al suo interno e fastoso all’esterno grazie alle sue forme assiro-babilonesi. Benedetto XVI lo varcò 24 anni dopo il suo predecessore. Nel suo discorso il Papa tedesco volle subito inserire la sua visita nel solco di quella visita del suo predecessore: “Venendo tra voi per la prima volta da cristiano e da Papa, il mio venerato Predecessore Giovanni Paolo II intese offrire un deciso contributo al consolidamento dei buoni rapporti tra le nostre comunità, per superare ogni incomprensione e pregiudizio. Questa mia visita si inserisce nel cammino tracciato, per confermarlo e rafforzarlo…”, disse.
Non mancò poi, in quella occasione, di ribadire la richiesta di perdono “per tutto ciò che ha potuto favorire in qualche modo le piaghe dell’antisemitismo e dell’antigiudaismo”. “Possano queste piaghe essere sanate per sempre!”, affermò Ratzinger, elevando la stessa accorata preghiera che Wojtyla pronunciò al Muro del Pianto in Gerusalemme, il 26 marzo 2000: “… noi siamo profondamente addolorati per il comportamento di quanti, nel corso della storia, li hanno fatti soffrire, essi che sono tuoi figli, e domandandotene perdono, vogliamo impegnarci a vivere una fraternità autentica con il popolo dell’Alleanza…”.
Dunque è un cammino ampiamente spianato quello che, domenica prossima, percorrerà Papa Bergoglio, da sempre vicino al mondo ebraico (ricordiamo la sua profonda amicizia con il rabbino argentino Abraham Skorka da cui scaturì il libro Il cielo e la terra). Tale cammino si arricchirà comunque di nuovi tasselli coincidendo la visita del Pontefice, oltre che con la 27ª Giornata della Chiesa italiana per l’approfondimento e lo sviluppo del dialogo tra cattolici ed ebrei, anche in un contesto storico segnato da diversi conflitti nel mondo e dalla violenza estremista in nome delle religioni. Senza dimenticare la cornice del Giubileo della Misericordia, anch’esso un evento cattolico ma di radice ebraica, che rinverdisce il particolare legame tra questi due popoli fratelli.

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Salvatore Cernuzio

Crotone, Italia Laurea triennale in Scienze della comunicazione, informazione e marketing e Laurea specialistica in Editoria e Giornalismo presso l'Università LUMSA di Roma. Radio Vaticana. Roma Sette. "Ecclesia in Urbe". Ufficio Comunicazioni sociali del Vicariato di Roma. Secondo classificato nella categoria Giovani della II edizione del Premio Giuseppe De Carli per l'informazione religiosa

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