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Caduti militari e civili. Marcianò: "Il loro sacrificio ha costruito ponti"

L’Ordinario Militare ha celebrato presso la Basilica dell’Ara Coeli la Messa per la Giornata del ricordo dei caduti nelle missioni internazionali di pace

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Riportiamo di seguito l’omelia pronunciata oggi da monsignor Santo Marcianò, durante la Messa nella Basilica dell’Ara Coeli, a Roma, in occasione della Giornata del ricordo dei caduti militari e civili nelle missioni internazionali per la pace.
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Carissimi fratelli e sorelle,
le parole del Salmo 111 sembrano quasi “motivare” questa nostra Celebrazione in ricordo dei caduti nelle Missioni Internazionali per la Pace, nelle quali molti nostri militari e civili rendono un prezioso servizio, testimoniando la condivisione e la solidarietà del popolo italiano alle popolazioni che vivono l’oppressione, la violenza, la guerra, la povertà….
«Dobbiamo abbattere i muri che dividono e costruire ponti che consentono di far diminuire le diseguaglianze e accrescono la libertà e i diritti», ha affermato ieri Papa Francesco nell’intervista ad un quotidiano. Costruire ponti è impegno serio, che parte dalla vita dei singoli e si proietta sulle grandi direttive degli accordi nazionali e internazionali. Interpella i luoghi del pensiero e gli ambiti della politica, dove non è facile operare scelte di inclusione e integrazione, soprattutto se impopolari o apparentemente svantaggiose. Per costruire i ponti, che tanto stanno a cuore alla Chiesa, ci vogliono uomini e donne disposti a essere strumenti di dialogo e servizio, riconciliazione e pace. Questi sono gli uomini che oggi ricordiamo!
La Celebrazione Eucaristica, come ogni anno, si ripete in questo giorno, con quella – potremmo dire – “fedele ripetitività” che aiuta le vicende, le persone, a diventare “eterne” anche nella conoscenza e nella memoria. Ricordare è, in certo senso, far sopravvivere e la ripetitività, come la memoria, è caratteristica importante della liturgia. Quanto valore ha la memoria!
Lo sapete bene voi, care famiglie, che quasi vivete del ricordo dei vostri cari, sperimentando il dolore ma, allo stesso tempo, la consolazione che dona il farli vivere nel vostro ricordo. Ricordando riportiamo al cuore – la stessa etimologia latina della parola lo conferma -; per questo, possiamo fare veramente memoria solo di ciò o di chi ci sta a cuore.
La memoria di oggi spinge a trovare il cuore del messaggio che i nostri caduti hanno lasciato; ci aiuta la prima Lettura (3 Gv 1,5-8), che offre due spunti concreti circa ciò che si può fare per i «fratelli, benché stranieri»: «provvedere loro il necessario per il viaggio» e «accogliere tali persone per diventare collaboratori della verità».
«Lo strumento militare rivolge la sua attenzione alla salvaguardia della vita dei nostri concittadini e della stabilità internazionale, mettendo in evidenza qualità e capacità professionali e collaborando con Paesi alleati ed amici, per realizzare un ambiente nel quale possano prosperare la pace e lo sviluppo dei principi democratici e dei diritti della persona, nel rispetto delle differenti culture e sensibilità»,  ha scritto il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nel suo Messaggio per il 4 novembre.
Operare nelle Missioni Internazionali per la Pace significa dunque essere costruttori di ponti a tanti livelli, a nome della nostra Nazione: con le Nazioni che hanno bisogno del nostro aiuto; con i Paesi amici, con i quali rafforzare una forte unità internazionale che, sola, può seriamente affrontare le difficili emergenze in cui si trova l’umanità; con le tante Associazioni di volontariato che si spendono in varie forme di cooperazione…
C’è una verità dell’uomo della quale siamo tutti, a livello personale e istituzionale, a servizio; tale veritàsi identifica con l’«accoglienza». La verità è che la persona umana è da accogliere, sempre; e si accoglie pure quando si va a servire, sostenere, difendere, nelle situazioni o nei luoghi più difficili.
«Accogliere» è parola fondamentale nel Vangelo. Il verbo greco significa proprio prendere “dal di sotto”, prendere su di sé, sotto la propria protezione… È bello: accogliere significa farsi carico; essere “ponti”, non muri, significa farsi carico! Noi, oggi, facciamo memoria di come i nostri fratelli caduti abbiano saputo servire la verità dell’uomo, facendosi carico dei popoli che sono stati mandati a servire.
Certo, ciò che è accaduto loro è e rimane, in sé, una tragedia, frutto di qualcosa di profondamente sbagliato, come la guerra, la violenza, talora gli attentati di cui sono rimasti vittime. È come se, nel farsi carico, essi siano rimasti schiacciati sotto un enorme peso; e il peso specifico delle vite umane che hanno saputo accogliere e proteggere ha un valore incalcolabile: il sacrificio della loro vita. Questo sacrificio non cancella l’ingiustizia ma si fa grido di giustizia, come quello che si leva nel Vangelo (Lc 18,1) da parte della povera vedova verso il giudice disonesto.
«Fammi giustizia!»: questo chiede la donna; questo gridano gli «eletti notte e giorno verso Dio». In loro, sentiamo la voce di questi nostri fratelli i quali, all’ingiustizia subita, hanno risposto con la «giustizia che rimane per sempre». Sì, esiste una giustizia umana, per la quale occorre combattere, lottare, vivere; ma, per arrivare a morire, occorre un altro e un “altro” livello di giustizia: la «giustizia che rimane per sempre». E, a pensarci bene, ci rendiamo conto che l’unica giustizia che rimane per sempre, l’unica cosa che, come dice Paolo (cfr 1 Cor 13), rimane per sempre, è l’amore, la «carità».
Carissimi,«essi hanno dato testimonianza della tua carità», scrive l’evangelista Giovanni; ed è come se queste parole siano rivolte a ciascuno dei caduti che oggi ricordiamo, della cui carità le vite umane accolte, difese, salvate sono vivente testimonianza. Una testimonianza che offre, alla nostra società indebolita dall’individualismo e dal materialismo, da uno scarso senso dello Stato, della legalità e del bene comune, una lezione concreta ma anche “elevata” di giustizia, che è vero germe di pace.
Chiudo con le parole di un grande profeta della pace, Martin Luther King, il quale, ricordava giorni fa Papa Francesco, «sapeva sempre scegliere l’amore fraterno persino in mezzo alle peggiori persecuzioni e umiliazioni. Diceva: “Quando ti elevi al livello dell’amore, della sua grande bellezza e potere, l’unica cosa che cerchi di sconfiggere sono i sistemi maligni. Le persone che sono intrappolate da quel sistema le ami, però cerchi di sconfiggere quel sistema […] Odio per odio intensifica solo l’esistenza dell’odio e del male nell’universo. Se io ti colpisco e tu mi colpisci, e ti restituisco il colpo e tu mi restituisci il colpo, e così di seguito, è evidente che si continua all’infinito. Semplicemente non finisce mai. Da qualche parte, qualcuno deve avere un po’ di buon senso, e quella è la persona forte. La persona forte è la persona che è capace di spezzare la catena dell’odio, la catena del male”».
Questa capacità, che ha fatto dei nostri fratelli caduti dei costruttori di pace e di ponti, sia anche la forza di ciascuno di noi, affinché la Nazione e il mondo in cui viviamo si volgano sempre più decisamente verso una giustizia vera, accogliente, alta: la giustizia che rimane per sempre.
E così sia!”.

 

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ZENIT Staff

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