“Dobbiamo annunciare la Buona Novella, a cominciare dai poveri, è quello che trasforma la società”. Lo dichiara a ZENIT, monsignor Maurice Piat, arcivescovo di Port-Louis (Mauritius), cardinale designato, tra i 17 che riceveranno la berretta rossa da papa Francesco, durante il concistoro del prossimo 19 novembre, alla vigilia della chiusura dell’Anno Santo. “La misericordia è il cuore della buona novella”, sottolinea l’arcivescovo.
Piat, 75 anni, membro della Congregazione dello Spirito Santo, ha descritto a ZENIT la sua nuova missione come un segno della sollecitudine di papa Francesco per la piccola chiesa mauriziana.
Il neoporporato ha illustrato le caratteristiche della comunità cattolica dell’isola dell’Oceano Indiano, messa a confronto con il dialogo interreligioso e interculturale della vita quotidiana.
Un cardinale per l’Isola di Mauritius: Eminenza, qual è stata la sua reazione, nell’apprendere questa nomina?
Non me l’aspettavo affatto, sono rimasto assai sorpreso. Ci ho messo un po’ di tempo per rendermi conto di quello che mi era successo, poi, poco a poco, mi sono detto che si trattava di una chiamata del Signore, arrivata per mezzo di papa Francesco.
Lei ha detto ai mauriziani che questa nomina non è per lei ma per il popolo: cosa intende?
Attorno a me, la Chiesa e, in generale, il paese sono assai felici: lo vedono come un gesto d’affetto paterno, di incoraggiamento del Papa per la nostra piccola chiesa. Va tenuto conto che siamo una piccola comunità: una sola diocesi in un unico paese. Una chiesa nuova come la nostra ha dunque bisogno di risonanza e la gente è molto contenta che il Papa abbia pensato all’unico vescovo dell’isola di Mauritius. La cosa non ha toccato soltanto me ma tutto il paese, che ora si sente riconosciuto e incoraggiato.
Quali sono le caratteristiche della chiesa in Mauritius? È una chiesa di periferia?
Si può dire che è una piccola chiesa “di periferia”, lontana, nell’emisfero sud. La chiesa mauriziana rappresenta il 30-32% di una popolazione di 1,2 milioni. La popolazione conta anche un 50% di indù, un 18% di musulmani e circa l’1-2% di buddisti. Tale ‘mosaico’ richiede un enorme sforzo di coesistenza, di rispetto tra religioni e culture molto differenti. Una delle nostre grandi sfide è il dialogo nella vita quotidiana: avere buone relazioni di vicinato, anche nel nostro quartiere. Inoltre, anche all’interno della Chiesa, c’è molta varietà. La storia dell’isola di Mauritius, molto recente, è iniziata nel XVIII secolo, allorché i francesi della Compagnia delle Indie vi instaurarono un regime di schiavitù, che è durato circa un secolo. Pertanto alcuni cristiani sono originari degli antichi schiavi, mentre altri sono originari di antichi padroni. Serve, quindi, un continuo sforzo di riconciliazione, di mutua accoglienza, perché all’interno della Chiesa, persone di origini e stature differenti, tornino a diventare fratelli.
Esiste una “spiritualità mauriziana”?
Nella nostra storia, siamo stati già segnati da un grande missionario, venuto da noi, prima dell’abolizione della schiavitù, nel 1841, e lì rimasto per 23 anni. Si tratta del missionario spiritano normanno Jacques Desiré Laval, beatificato da Giovanni Paolo II nel 1979 e rimasto, dal giorno della sua morte, “padre nella fede” di tutto il popolo. Tutti i mauriziani, di tutte le origini sociali, di tutte le culture, lo ritengono “l’apostolo dell’unità nazionale”. Cristiani, musulmani e indù vengono spontaneamente a pregare sulla sua tomba. La venuta di padre Laval è stata come un’esperienza di Pentecoste per la nostra Chiesa e la sua spiritualità resta per noi una grande eredità, che si può riassumere così: bisogna annunciare la Buona Novella, cominciando dai poveri, perché è da lì che la società si trasforma.
Lei è spiritualmente legato a padre Laval, al quale ha consacrato il suo episcopato. Quali sono gli esempi che lui le ha dato, come direzione del suo cardinalato?
L’attenzione ai poveri e il rispetto per la loro cultura e la loro lingua. Padre Laval è stato il primo sacerdote ad apprendere il creolo, a fare catechismo in creolo, a dare catechesi in creolo, la sera, in cattedrale, adattandosi agli orari dei lavoratori. Questo sforzo di inculturazione ha avuto un grande impatto, perché queste persone comprendessero il Vangelo nella loro lingua. In seguito, per una ventina d’anni, numerosi sacerdoti mauriziani hanno lavorato duramente per tradurre le Scritture in creolo. I creoli, che sono la maggioranza dei cristiani, intendono così la Parola di Dio nella loro lingua, così risuona in una maniera assai diversa di come la intendono in francese.
Lei sarà creato cardinale a conclusione dell’Anno della Misericordia: ciò è significativo per la sua missione?
Ho effettivamente riflettuto sul senso di questa nuova missione affidatami alla fine dell’Anno della Misericordia. Direi che la misericordia non è un tema tra i tanti, che terminerà e al quale succederà chissà quale altro tema. La misericordia è il cuore della nostra fede. Noi cardinali che saremo creati il prossimo 19 novembre, e tutta la Chiesa, siamo chiamati a diventare missionari della Misericordia, per tutto l’anno e in qualsiasi anno, perché essa è il cuore della Buona Novella. È la misericordia che ci salva.
Ha già incontrato papa Francesco?
L’ho incontrato brevemente in occasione del Sinodo sulla Famiglia del 2015. Attendo con il piacere il momento di potermi nuovamente incontrare con lui, sabato prossimo. Per me è una grande figura, un provvidenziale apostolo dell’inizio di questo XXI secolo, con tutte le sfide che rappresenta. Lui non ci dà delle “soluzioni” ma il respiro, il gusto di annunciare il Vangelo.
Card. Piat - Foto: Diocesi di Port Louis
Mauritius. Il nuovo cardinale: “La società cambia con l’annuncio del Vangelo ai poveri”
L’arcivescovo di Port-Louis, Maurice Piat, racconta la sua esperienza di pastore in una terra di periferia, dove da due secoli il cristianesimo convive con altre religioni e culture