Foto: Niccolò Caranti - Commons Wikimedia (CC BY-SA 3.0)

Referendum costituzionale: il "Sì" e il "No" visti in controluce

All’Università Europea, i costituzionalisti Giuseppe Colaviti e Filippo Vari si soffermano su i pro e i contro della riforma

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La Costituzione italiana, vigente dal 1948, veicola principi più che mai attuali e, in molti casi, inestirpabili. La prima parte del dettato costituzionale, con i suoi principi generali, è paragonabile ad un’anziana signora presbite: guarda lontano, è lungimirante, ma non vede bene da vicino; la seconda parte, quella relativa all’ordinamento dello Stato, è, al contrario, miope e le ripetute revisioni cui è stata più volte sottoposta in quasi settant’anni, sono come degli occhiali che le permettono di stare al passo con i tempi.
Con questa metafora, il professor Emanuele Bilotti, ordinario di diritto privato e coordinatore del corso di laurea magistrale in giurisprudenza dell’Università Europea di Roma (UER), ha introdotto stamattina nel medesimo ateneo, il dibattito Referendum costituzionale: l’Italia a un bivio. Sì e no a confronto riguardante la consultazione del prossimo 4 dicembre. A illustrare le ragioni del SI e del NO, dinnanzi ad un pubblico composto per lo più da studenti dell’UER, Giuseppe Colaviti, professore associato di Istituzioni di Diritto Pubblico all’Università dell’Aquila, e Filippo Vari, professore ordinario di Diritto Costituzionale all’UER.
“Ogni costituzione vive sempre una dialettica tra stabilità e cambiamento”, ha esordito Colaviti, evidenziando quindi l’originalità e la modernità della Costituzione italiana, la prima ad essere “fondata sul lavoro”, nobilitando così “lo sforzo quotidiano di ognuno di noi”, che va ad irrobustire i rapporti sociali, ed introducendo un “principio meritocratico”.
Precisando che l’unico principio non sottoponibile a revisione costituzionale, l’istituzione repubblicana, non implica semplicemente l’eleggibilità del capo dello stato ma il fondamento democratico della repubblica stessa, il professor Colaviti si è focalizzato sulla centralità del Parlamento nel nostro impianto costituzionale, attingendo a quanto affermava il nostro padre costituente Costantino Mortati (1891-1985): “La struttura del corpo sociale deve essere riflessa nel Parlamento”.
Anche alla luce di ciò, il docente ha espresso favore per la differenziazione dei ruoli di Camera e Senato e per la fine del bicameralismo perfetto, al vaglio dell’imminente referendum. Nella misura in cui, il Parlamento è tenuto ad essere lo “specchio più fedele delle realtà che va a rappresentare”, ovvero di una “realtà plurale” come quella italiana, che, secondo Colaviti, giustificherebbe la nascita di un Senato delle Regioni.
Anche l’attribuzione della fiducia al governo a carico della sola Camera dei Deputati, può rappresentare, a parere del costituzionalista, un’innovazione positiva, in quanto può incentivare un “rapporto più franco” tra il governo e un ramo del parlamento, laddove negli ultimi anni – com’è noto – i governi hanno fatto un ricorso smodato alla “fiducia”, quasi come un’arma di “ricatto” nei confronti del parlamento.
Verrebbe inoltre meno una distonia della vita istituzionale degli ultimi vent’anni, ovvero la frequente compresenza di maggioranze diverse alla Camera e al Senato.
Non è detto, però, ha ammesso Colaviti, che l’attribuzione della maggior parte dei processi legislativi ad una sola Camera riuscirà sicuramente ad evitare le “lungaggini” degli iter.
Elementi accolti positivamente dal costituzionalista sono invece le facilitazioni alle proposte di legge popolari – che il Parlamento sarà obbligato a votare, mentre con il sistema vigente, può anche rigettare – e l’introduzione di referendum propositivi e non solo abrogativi.
Altro punto debole individuato da Colaviti è nel rapporto tra leggi statali e regionali, con tutti i conflitti di attribuzione che ne possono derivare, laddove il ritorno all’accentramento statale previsto dal prossimo referendum ha comunque dei risvolti costruttivi, come nel caso della nazionalizzazione di certi ordini professionali.
Più scettica l’analisi fornita da Filippo Vari, che pure ha riconosciuto alcune buone intenzioni del referendum costituzionale, a partire dalla riduzione del numero di parlamentari e del suo allineamento agli standard del resto d’Europa. Fermo restando che una giusta retribuzione per i parlamentari, secondo il docente, è un parametro di democrazia, poiché, in tal modo, si permette anche a chi non ha nulla per vivere di poter rappresentare i cittadini.
Anche la differenziazione dei ruoli delle due camere è stato indicato da Vari come un elemento positivo, poiché il bicameralismo perfetto, con un equilibrio istituzionale sbilanciato sul parlamento era giustificabile alla luce del quadro storico del 1948, con un’Italia che usciva da una dittatura.
Il principale elemento di perplessità individuato da Vari risiede invece nella elaborazione dell’attuale revisione costituzionale “a colpi di maggioranza”, come del resto è avvenuto già altre due volte nell’ultimo quindicennio. Un’eventuale approvazione referendaria, quindi, potrebbe incentivare le prossime maggioranze di governo a cambiare a loro volta la Costituzione a loro piacimento e con una certa disinvoltura. Al contrario, la maggior parte delle revisioni costituzionali operate fino alla fine del secolo scorso, ha ricordato il docente, erano state approvate a larghissima maggioranza, anche con il voto delle opposizioni.
Non è chiaro, poi, dal testo referendario, se il nuovo Senato sarà eletto “direttamente dal popolo o dai consigli regionali”. Ciò pone “un problema di legittimità”.
Inoltre, se da un lato è giusto restituire allo Stato alcune competenze (sia Colaviti che Vari hanno citato il peculiare caso dell’istituzione di un ordine regionale dei bagnini in Abruzzo), dall’altro si rischia di “tornare troppo indietro”, ad uno stato accentratore.
Il nodo più critico, tuttavia, secondo Vari, è rappresentato dall’intreccio tra la revisione costituzionale e la nuova legge elettorale, attualmente in discussione in parlamento, che rischia di produrre un “cortocircuito”.
Non solo l’Italicum non reintrodurrebbe la scelta dei candidati da parte del popolo, permanendo le liste bloccate, ma si pone il rischio che – con l’attuale sistema ‘tripolare’ – una coalizione con appena il 30% dei consensi popolari, vada a conquistare la maggioranza assoluta dei seggi parlamentari. Provvedimenti assai delicati, come ad esempio la riforma della scuola o delle pensioni, finirebbero dunque approvati da una maggioranza assai poco rappresentativa della popolazione complessiva, rischiando così di fomentare il malcontento popolare e le manifestazioni di piazza, ha osservato infine il professor Vari.

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Luca Marcolivio

Roma, Italia Laurea in Scienze Politiche. Diploma di Specializzazione in Giornalismo. La Provincia Pavese. Radiocor - Il Sole 24 Ore. Il Giornale di Ostia. Ostia Oggi. Ostia Città (direttore). Eur Oggi. Messa e Meditazione. Sacerdos. Destra Italiana. Corrispondenza Romana. Radici Cristiane. Agenzia Sanitaria Italiana. L'Ottimista (direttore). Santini da Collezione (Hachette). I Santini della Madonna di Lourdes (McKay). Contro Garibaldi. Quello che a scuola non vi hanno raccontato (Vallecchi).

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