“C’è calma apparente in tutti i centri principali del paese, in realtà questa è una bomba che sta per esplodere”, così scrive da Juba fr. Bill Firman. Il religioso lasalliano è tra i responsabili del progetto Solidarietà con il Sud Sudan operativo dal 2007 nel paese, supportato da oltre 220 congregazioni religiose maschili e femminili, con cinque progetti di formazione concreti e di grande futuro.
“La gente ha paura e fame – afferma fr. Bill – In molti non hanno un riparo, né cibo. Il cugino di un diacono è stato giustiziato dai soldati ad un check point per il solo fatto che era della tribù Nuer. La frontiera con l’Uganda rimane chiusa. Molti cercano di fuggire, invano. L’aeroporto, ieri stracolmo, è aperto, ma volano solo i charter. Croce rossa, medici senza frontiere e molti altri hanno evacuato il loro personale. Ieri 20 guardie nazionali di sicurezza hanno fatto irruzione in un hotel dove si trovavano diverse ragazze australiane ed europee che hanno subito violenze. Un americano che ha cercato di aiutarli è stato colpito ad un piede. L’anarchia crescente è un problema enorme. C’è nervosismo in altre città”.
Firman ha ancora nelle orecchie i colpi dei fucili dei giorni scorsi: “Attorno alla nostra casa, i razzi nel cielo, il compound dei comboniani in mezzo ad una sparatoria; così intorno alla Cattedrale a Kator e altrove. Una storia annunciata”, scrive.
Da parte sua fr. Amilcare Boccuccia, dal 2007 al 2011 responsabile del progetto Solidarietà con il Sud Sudan, afferma invece: “Un sacerdote sudanese me lo aveva detto anni fa: ‘Voteremo senza dubbio il referendum, ma seguiranno 100 anni di guerra civile per divenire un popolo’. Pecca del colonialismo che ha usato le etnie, già tradizionalmente divise, per allontanarle ulteriormente e controllarle; e poi la maledizione del petrolio, in un paese che appare appena esplorato, con introiti usati per tenere buoni i leader delle diverse fazioni mentre la gente ha fame, di tutto”.
Fr. Bill incalza: “Il processo di pace è in panne. Le rappresaglie riprenderanno in altre parti del paese dove i ribelli sono più forti. Il governo del Sud Sudan è in bancarotta. Non paga i soldati e tanti altri dipendenti pubblici, che finiscono per rubare per disperazione. Noi? Vogliamo restare, per continuare a dare risposte di vita ed una speranza possibile”.
L’invito a visitare il Sud Sudan rivolto all’Unione dei Superiori e delle Superiore Generali è di un vescovo e risale al 2006, dopo la firma del trattato di pace di Naivasha che metteva fine alla seconda guerra civile sudanese . Un team intercongregazionale lo esplora con attenzione. “Una la priorità inequivocabile emersa: la formazione” spiega fr. Amilcare. Due gli ambiti scelti: “Istruzione – servivano oltre 100 mila insegnanti – e sanità”.
Oggi sono 264 gli insegnanti abilitati: 175 attualmente impegnati nel tirocinio del quarto anno, 114 in quello del biennio, 3.443 quelli coinvolti complessivamente nella formazione che ha visto docenti spostarsi verso le comunità più lontane per offrire percorsi di studio. Tra i paramedici diplomati ci sono 70 infermieri e 19 ostetriche. Altri 100 sono in formazione.
Cinque le città sede del progetto: Malakal per l’educazione, a nord, ora occupata dai Dinka, Wau, per la sanità dove le Suore Comboniane gestiscono il Training Hospital; al confine con il Congo, Rimenze per la promozione della donna e fiorente centro di agraria e Yambio, per la formazione degli insegnanti, aspetto di cui i lasalliani sono responsabili. Un team è inoltre organizzato per la pastorale e gira tutto il paese per lenire i traumi del conflitto e offrire nuovi percorsi, con un centro di prossima apertura a 16 km da Juba.
Oltre 5 milioni gli euro sono stati raccolti a supporto del progetto nella sola prima fase, tra il 2007 e il 2011. Tra i donatori figurano la Cei, le parrocchie italiane, ma anche tanti privati e organizzazioni in Spagna, Irlanda, Germania. “Non esiste una tradizione nel passato che ha dato a questa coscienza di popolo”, spiega fr. Firman. “Non possiamo scappare. Solo così avremo un rapporto alla pari con loro. Siamo chiamati ad investire, rischiando la vita, per seminare futuro”.