Ancora violenze in Sud Sudan. Oltre 40mila sfollati in fuga dal paese

Violato il cessate il fuoco proclamato dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite con l’appoggio del presidente Salva Kiir. Ieri scontri intorno ad un campo profughi

Share this Entry
Ancora tensioni e violenze in Sud Sudan, dove nuovi scontri si sono verificati ieri intorno ad una base Onu e a un campo di sfollati. Dopo giorni di sanguinosi combattimenti a Juba, dall’8 al 10 luglio, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite aveva proclamato il cessate il fuoco con l’appoggio del presidente Salva Kiir a cui si oppongono le milizie del vicepresidente Riek Machar. La tregua, però, non sembra essere stata rispettata del tutto.
Le violenze dei giorni scorsi hanno lasciato decine di migliaia di vittime sul terreno e provocato una grande massa di profughi: si parla di 36 mila sfollati e oltre 30 mila civili attualmente rifugiati nel compound delle Nazioni Unite. A loro, in questo momento, sono rivolte le preoccupazioni delle comunità religiose del Paese che hanno lanciato appelli senza sosta per una immediata fine delle ostilità.
In prima linea, in questo senso, ci sono la Chiesa cattolica, la Comunione anglicana e il South Sudan Council of Churches che, in una nota, chiede alla comunità internazionale un pronto intervento anche con la forza, prima che sia troppo tardi. Nel comunicato viene espresso poi “cordoglio e solidarietà a tutte le vittime del conflitto e ai loro familiari”, insieme alla preghiera “affinché ritorni un clima più sereno”.

Il Segretario generale Ban Ki-moon, intanto, ha chiesto che il Consiglio di Sicurezza imponga un immediato embargo sulle armi nel Paese africano. Mentre dagli Usa il presidente Obama ha annunciato lo schieramento di 47 soldati per proteggere il personale statunitense; altri 130 uomini sono  pronti ad intervenire in caso di necessità da Gibuti e resteranno in Sud Sudan fino a quando la situazione non sarà rientrata.

“Le fazioni vogliono eliminarsi a vicenda e i colpi di mortaio sono caduti in mezzo ai civili”, dichiarano al Sir i missionari da anni a Juba, capitale del Sud Sudan. “Il ponte sul Nilo è bloccato e l’aeroporto è stato chiuso, rendendo impossibile anche l’evacuazione del personale delle ambasciate straniere”.  Secondo le fonti, “i non sud sudanesi” sono stati autorizzati a lasciare il Paese attraverso il valico di frontiera con l’Uganda. Muoversi, però, significa rischiare la vita. “I civili sono rintanati nelle case e chi si avventura fuori lo fa solo perché costretto dalla fame o perché spera di raggiungere un riparo”.
 

Share this Entry

ZENIT Staff

Sostieni ZENIT

Se questo articolo ti è piaciuto puoi aiutare ZENIT a crescere con una donazione