“La storia dell’uomo è soprattutto una storia di coraggio: la prova che senza il coraggio non fai nulla, che se non hai coraggio nemmeno l’intelligenza ti serve. E il coraggio ha molti volti: il volto della generosità, della vanità, della curiosità, della necessità, dell’orgoglio, dell’innocenza, dell’incoscienza, dell’odio, dell’allegria, della disperazione, della rabbia, e perfino della paura cui rimane spesso legato da un vincolo quasi filiale”.
Credo valga la pena riportare per intero questo brano, preso in prestito da un romanzo di Oriana Fallaci, Insciallah, per riflettere sul bisogno che di coraggio c’è nella quotidianità. In questi giorni spesi a correre dietro ad un pallone, seguendo gli Europei, ha fatto scalpore la notizia giunta da Oltreoceano: Leo Messi, icona del Barcellona e della nazionale Argentina, si è presentato alle telecamere dopo aver sbagliato uno dei rigori che hanno condannato l’Albiceleste alla terza sconfitta di fila nelle finali della Coppa America per annunciare il suo ritiro.
Continuerà a giocare a calcio, ma non risponderà più alle convocazioni della squadra del suo Paese per colpa di quel tiro sballato dagli undici metri. Il passo indietro di uno ricco, bello e famoso che dalla vita ha avuto tanto. Tantissimo. Anche la fortuna di diventare un modello da imitare, al punto da essere scelto dall’Unicef come ambasciatore perché parlasse ai bambini ed agli adulti: ai primi per spiegare loro la forza dei sogni, ai secondi per imparare a rispettare i più piccoli.
Eppure, in tutto ciò c’è soprattutto una responsabilità. E da questo campo, che è poi quello dell’esistenza, non si può uscire per un calcio sbilenco. Amarezza e rabbia personali sono comprensibili, ma se lasciati da soli nel rettangolo di gioco consegnerebbero ogni volta la vittoria all’egoismo.
Un lusso che nessuno, men che meno i campioni, per il loro essere punto di riferimento, può concedersi. Non fosse altro che per rispetto nei riguardi di chi affronta sfide più grandi, e non solo contro se stesso. Ad esempio Eric Abidal, ex difensore del Barcellona, capace di battere un tumore al fegato con un tackle di testardaggine e voglia di vivere. O Francesco Acerbi, più modesto, ma ugualmente orgoglioso e dignitosissimo giocatore del Sassuolo: lui un calcio lo ha dato al cancro ai testicoli per tornare a segnare in serie
Janko Tipsarevic, invece, dopo aver perso il match sorrideva e saltava come un fanciullo: a maggio, al Roland Garros, il tennista serbo era stato appena preso a pallonate dal canadese Milos Raonic. Eppure festeggiava: dopo aver affrontato un tumore e tre interventi chirurgici, aveva potuto rimettere piede sul rosso. E questo gli bastava.
Storie tante e diverse, che tutte insegnano una cosa: un uomo vero non si riconosce dai titoli in bacheca, ma dal coraggio. Insomma, la vita può essere scritta con lo stesso inchiostro delle favole. Basta volerlo. E proprio come in una favola sarebbe bello se adesso Messi vestisse la maglia della sua nazionale e tornasse a bordo da capitano coraggioso, perché di capitani senza coraggio è già pieno il mondo.
Janko Tipsarevic
Il coraggio che ci manca, il coraggio che ci vuole
Un uomo vero non si riconosce dai titoli in bacheca, ma dal coraggio: senza coraggio non si fa nulla, senza coraggio nemmeno l’intelligenza serve…